martedì 15 luglio 2025

Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

 Revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato: legittimità del provvedimento anche in presenza di nuova occupazione

R.G. n. 826/2024 – Sentenza del 2 luglio 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

Con la sentenza n. 964/2025, pubblicata in data 12 luglio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione Terza – ha rigettato il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il decreto di annullamento del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo rilasciato per motivi di lavoro subordinato, adottato dalla Questura di Foggia.

L’annullamento era stato motivato dall’accertata falsità del contratto di lavoro presentato dal ricorrente, che risultava stipulato con un’impresa inesistente, come confermato da un accertamento dell’INPS: totale assenza di documentazione fiscale, irreperibilità della presunta titolare e insussistenza dei rapporti di lavoro denunciati. Secondo la Questura, il titolo era quindi stato conseguito in assenza di una condizione essenziale: la prova della sussistenza di un reddito lecito da lavoro.

Il ricorrente, per contro, aveva eccepito di essere stato vittima di un datore di lavoro scorretto e di aver comunque prestato attività lavorativa, pur presso altro imprenditore. Sosteneva inoltre di essere attualmente titolare di un nuovo contratto di lavoro, stipulato nel 2023 e valido fino al 2025, e di aver dunque diritto al mantenimento del titolo. In via subordinata, lamentava il mancato esame da parte della Questura della possibilità di rilascio di altri titoli di soggiorno.

Il TAR ha ritenuto infondato il ricorso. In primo luogo, ha escluso che l’Amministrazione potesse valutare la sopravvenuta situazione lavorativa del ricorrente, sia perché questa non era nota all’epoca del provvedimento (adottato nel 2018 e notificato solo nel 2024 per irreperibilità del destinatario), sia perché il lavoratore non aveva partecipato alla fase procedimentale. Inoltre, il nuovo contratto era posteriore alla data dell’annullamento, e quindi irrilevante ai fini della valutazione di legittimità del provvedimento impugnato.

Quanto alla doglianza relativa alla condotta fraudolenta del datore di lavoro, il TAR ha osservato che tale circostanza, pur a volerla accogliere, non avrebbe eliso il dato obiettivo dell’assenza di qualsiasi documentazione fiscale e reddituale a carico del ricorrente fino al 2023, con conseguente legittimità del ritiro del titolo.

Infine, il Collegio ha chiarito che la valutazione circa il rilascio di altri titoli di soggiorno non può interferire con l’autonomia del procedimento di annullamento in autotutela. Spetta infatti all’interessato attivare, in via separata, nuove istanze fondate su presupposti differenti.

Le spese sono state compensate, in considerazione della natura e dell’andamento del giudizio.

Avv. Fabio Loscerbo

lunedì 14 luglio 2025

Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

 Permesso di soggiorno di lungo periodo: legittima la revoca anche nell’ambito di un procedimento di aggiornamento

R.G. n. 39/2021 – Sentenza dell’11 ottobre 2022 – Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta, Sezione Unica

Con la sentenza n. 63/2022, pubblicata il 23 dicembre 2022, il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta ha respinto il ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento della Questura di Aosta che negava l’aggiornamento del permesso di soggiorno di lungo periodo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Presidente della Regione.

Il caso riguardava una richiesta di aggiornamento del permesso già rilasciato, che la Questura ha respinto, motivando l’atto con la mancanza di elementi sufficienti a dimostrare la permanenza stabile del richiedente sul territorio nazionale, nonché con considerazioni ostative legate alla sua condotta. La Regione ha confermato tale valutazione, rigettando l'impugnazione in sede gerarchica.

Nel ricorso, il difensore ha lamentato la trasformazione surrettizia del procedimento di aggiornamento in un procedimento di revoca, contestando altresì la valutazione discrezionale dell’amministrazione in ordine all’affidabilità e al radicamento dell’interessato.

Il TAR ha tuttavia respinto le censure. Sotto il primo profilo, ha osservato che, ai sensi dell’art. 9, comma 7, del D.Lgs. 286/1998, l’amministrazione ha sempre il potere di revoca del permesso quando vengono meno le condizioni per il rilascio, anche all’interno di un procedimento formale di aggiornamento. La comunicazione dei motivi ostativi, regolarmente effettuata, ha assicurato il contraddittorio procedimentale.

Quanto alla discrezionalità amministrativa, il Collegio ha riconosciuto che la Questura ha esercitato in modo legittimo e non irragionevole il proprio apprezzamento, motivando in modo adeguato il diniego alla luce delle circostanze documentate, ritenute ostative al mantenimento del titolo di soggiorno.

La sentenza chiarisce un punto delicato nella prassi amministrativa: la possibilità di convertire in revoca un procedimento di aggiornamento, qualora emergano motivi legittimi. Essa conferma anche l’estensione del potere discrezionale dell’amministrazione nella valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio o mantenimento del titolo, purché ciò avvenga in osservanza delle garanzie procedurali e con motivazione congrua.

Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 2.000 complessivi, ripartiti tra Regione e Ministero dell’Interno.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 13 luglio 2025

Accesso agli atti e tutela giurisdizionale: il TAR Marche riafferma il diritto alla trasparenza procedimentale R.G. n. 221/2025 – Sentenza del 12 giugno 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. II

 Accesso agli atti e tutela giurisdizionale: il TAR Marche riafferma il diritto alla trasparenza procedimentale

R.G. n. 221/2025 – Sentenza del 12 giugno 2025 – Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. II

Con sentenza pubblicata il 16 giugno 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Seconda), decidendo sul ricorso R.G. n. 221/2025, ha accolto il ricorso proposto avverso il silenzio serbato dalla Questura di Fermo in relazione a un’istanza di accesso agli atti presentata da una cittadina straniera, titolare di una richiesta di permesso di soggiorno per motivi familiari.

La ricorrente, in data 5 novembre 2024, aveva inoltrato formale richiesta di accesso ex artt. 22 ss. della L. 241/1990, al fine di ottenere copia degli atti relativi al procedimento avviato con la presentazione di un’istanza tramite kit postale il 22 febbraio 2023. Non avendo ricevuto alcuna risposta, nonostante un successivo sollecito del 19 dicembre 2024, ha adito il giudice amministrativo per far valere il proprio diritto alla conoscenza degli atti amministrativi, anche in vista di una possibile tutela giurisdizionale.

Il TAR ha ritenuto il ricorso pienamente fondato, rilevando l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione, che, pur costituitasi in giudizio, non ha offerto alcuna motivazione ostativa all’accesso. Il Collegio ha sottolineato che l’istanza non era né generica né esplorativa, e che l’interesse giuridicamente rilevante della ricorrente era stato chiaramente illustrato. Di conseguenza, ha annullato il provvedimento tacito di rigetto formatosi sul silenzio dell’amministrazione, condannando la Questura di Fermo a esibire gli atti richiesti entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.

La pronuncia assume particolare rilievo nella prassi dell’accesso documentale nei procedimenti amministrativi in materia di immigrazione, spesso segnati da opacità e ritardi. Essa riafferma il principio della trasparenza amministrativa come presidio effettivo del diritto alla difesa e del buon andamento dell’azione pubblica, in coerenza con l’art. 97 Cost. e con l’obbligo per la pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro termini ragionevoli.

Avv. Fabio Loscerbo

mercoledì 2 luglio 2025

Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale Nota a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. n. 1147/2025, R.G. n. 720/2025, emessa il 25 giugno 2025

 Il valore non ostativo della scadenza del permesso nella procedura di conversione: una conferma giurisprudenziale

Nota a T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. n. 1147/2025, R.G. n. 720/2025, emessa il 25 giugno 2025


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, con sentenza n. 1147/2025 (R.G. 720/2025), depositata il 30 giugno 2025, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero avverso il provvedimento con cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Catanzaro aveva rigettato la domanda di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato, sul mero rilievo della scadenza del titolo di soggiorno al momento della presentazione dell’istanza.

1. I fatti: una conversione negata per la sola scadenza formale

L’istanza di conversione era stata presentata in data 21 marzo 2024, ma è stata rigettata con provvedimento del 29 marzo 2025, sulla base del solo dato formale della scadenza del permesso stagionale. Il ricorrente ha impugnato l’atto, deducendo la violazione dell’art. 24 del d.lgs. 286/1998 e delle relative circolari, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti e la violazione dei principi di ragionevolezza, buona amministrazione e favor integrationis.

2. La motivazione del TAR: discrezionalità amministrativa e tutela sostanziale

Il Collegio ha ritenuto fondate le censure, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, sia dello stesso TAR Calabria (sent. n. 344/2025 e n. 854/2025) sia del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 3884/2016 e n. 5604/2023), secondo cui la mera scadenza del permesso di soggiorno non costituisce ragione automatica ed insuperabile di rigetto, in quanto:

«la supposta natura decadenziale del termine non appare coerente con il sistema, dato che quest’ultimo, all’art. 5, comma 5, del T.U.I., impone di tenere in considerazione, in favore del rilascio del permesso di soggiorno, gli “elementi sopravvenuti” e vieta di considerare preclusive le irregolarità amministrative sanabili».

Il TAR ha ribadito che l’Amministrazione è comunque tenuta a esercitare la propria discrezionalità valutativa, prendendo in esame tutti gli altri presupposti sostanziali per la conversione del titolo, anche in presenza di una scadenza formale recente del permesso, come nel caso in esame.

3. Gli effetti della decisione

La sentenza, emessa ai sensi dell’art. 60 c.p.a. in forma semplificata, ha disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, ordinando alla pubblica amministrazione di riattivare il procedimento e di procedere a un riesame sostanziale della domanda, senza considerare ostativa la scadenza del permesso.

È stata inoltre disposta l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, con compensazione delle spese di lite, riservando la liquidazione dei compensi a separato provvedimento.


Questa pronuncia assume particolare rilievo nel panorama applicativo dell’art. 24 del T.U.I., riaffermando con chiarezza un principio di equità procedimentale: non può essere sacrificato il diritto dello straniero a ottenere una valutazione nel merito della propria istanza di conversione per mere formalità amministrative, soprattutto quando la scadenza del titolo sia di pochi giorni. In un’ottica di favor per l’integrazione e di effettività dei diritti, il bilanciamento tra legalità formale e sostanza giuridica deve orientare l’azione amministrativa verso la tutela del percorso di regolarizzazione dello straniero che dimostri un radicamento effettivo nel tessuto lavorativo nazionale.

Avv. Fabio Loscerbo

domenica 29 giugno 2025


 

La legittimità del diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato nel settore agricolo: il parametro delle 39 giornate lavorative nel trimestre

 La legittimità del diniego di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato nel settore agricolo: il parametro delle 39 giornate lavorative nel trimestre

Abstract:
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), con sentenza n. 792/2025 (R.G. n. 704/2025), pronunciata il 4 giugno 2025, ha rigettato il ricorso di un cittadino straniero avverso il diniego della Prefettura di Bari alla conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a subordinato. La decisione offre spunti significativi sul rapporto tra normativa primaria e atti amministrativi generali (circolari), con particolare attenzione all’interpretazione dell’art. 24, comma 10, del D.Lgs. 286/1998.


1. Introduzione

La sentenza in commento si inserisce nel quadro delle controversie amministrative concernenti la gestione del c.d. “decreto flussi” e, in particolare, le condizioni richieste per la conversione del permesso stagionale. Il ricorrente lamentava che la Prefettura avesse rigettato l’istanza in base a criteri ritenuti illegittimi, tra cui l’adozione del parametro minimo delle 39 giornate di lavoro in agricoltura su base trimestrale, mutuato da circolari ministeriali.


2. Il fatto

Il ricorrente aveva presentato istanza il 4 dicembre 2023, chiedendo la conversione del proprio permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso per lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 24, comma 10, del D.Lgs. 286/1998. Il diniego dell’Amministrazione era motivato dalla mancata prova di una prestazione lavorativa media di almeno 13 giornate mensili nel settore agricolo, nonché dalla ritenuta insufficiente capacità economica del datore di lavoro.


3. La motivazione del TAR

Il TAR ha confermato la legittimità del diniego, ritenendo corretta l’interpretazione amministrativa che quantifica l’attività lavorativa minima in 39 giornate nel trimestre, come previsto dalla circolare ministeriale congiunta n. 5969/2023 e dalla precedente circolare n. 37/2016. Il Collegio ha evidenziato che, in assenza di una specifica indicazione quantitativa nel testo dell’art. 24, comma 10, TUI, spetta all’Amministrazione individuare criteri attuativi, purché ragionevoli e non arbitrari. In tal senso, le 13 giornate mensili per settore agricolo sono considerate un parametro congruo e giustificato dalla natura discontinua del lavoro stagionale.


4. Il principio affermato

La sentenza ribadisce che:

  • Il requisito delle 39 giornate lavorative nel trimestre rappresenta un criterio legittimo per valutare la “regolare attività lavorativa” ai fini della conversione del titolo;

  • Le esperienze lavorative non coerenti con il settore agricolo non possono essere computate nel calcolo;

  • L’insufficiente capacità economica del datore di lavoro, se comprovata, può costituire causa ostativa alla conversione, anche se non imputabile direttamente al lavoratore;

  • Non vi è vizio procedimentale se l’atto è reso conoscibile tramite caricamento su portale (ALI), anche senza notifica a mezzo PEC.


5. Valutazioni critiche

La pronuncia si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 5721/2020; TAR Lombardia, Sez. IV, sent. n. 1934/2023) che ammette un’ampia discrezionalità amministrativa nella regolazione delle conversioni dei permessi stagionali. Tuttavia, permane un profilo di criticità nell’affidare a circolari – non sempre pubblicate tempestivamente – il compito di determinare requisiti sostanziali per l’accesso a diritti fondamentali connessi al soggiorno.


6. Conclusioni

La sentenza n. 792/2025 del TAR Puglia evidenzia il peso crescente della prassi amministrativa nella definizione degli standard di legalità nel diritto dell’immigrazione, in un contesto normativo lacunoso e non sempre coordinato. Essa conferma l’importanza, per i lavoratori stranieri, di documentare in modo preciso e tempestivo le giornate lavorative effettive e la coerenza settoriale del rapporto di lavoro.


Estremi della pronuncia:

  • Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza

  • Sentenza n. 792/2025

  • R.G. n. 704/2025

  • Data di emissione: 4 giugno 2025

  • Pubblicata il: 10 giugno 2025


Avv. Fabio Loscerbo
Avvocato esperto in diritto dell’immigrazione

sabato 28 giugno 2025


 

Il mancato rispetto del requisito minimo di attività lavorativa per la conversione del permesso stagionale: rigetto legittimo secondo il TAR Puglia Commento alla sentenza del T.A.R. Puglia – Sez. III, n. 809/2025, R.G. n. 602/2024, depositata il 12 giugno 2025

 Il mancato rispetto del requisito minimo di attività lavorativa per la conversione del permesso stagionale: rigetto legittimo secondo il TAR Puglia

Commento alla sentenza del T.A.R. Puglia – Sez. III, n. 809/2025, R.G. n. 602/2024, depositata il 12 giugno 2025

Nel contesto del diritto dell’immigrazione economica, la conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato rappresenta una possibilità condizionata al rispetto di requisiti normativi rigorosamente disciplinati. Con la sentenza n. 809/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) ha confermato la legittimità del rigetto di una richiesta di conversione per mancanza del prescritto requisito di attività lavorativa minimo, ponendo in risalto l'importanza del parametro oggettivo rappresentato dalle "39 giornate lavorative nel trimestre".

La fattispecie riguardava un lavoratore extracomunitario impiegato come bracciante agricolo, il quale aveva svolto 42 giornate di lavoro in 5 mesi. L’istanza di conversione del permesso, presentata presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Bari, era stata rigettata in quanto non risultava soddisfatta la soglia richiesta di 39 giornate lavorative concentrate in un arco temporale massimo di tre mesi, come ribadito dalla circolare interministeriale n. 5969 del 27 ottobre 2023.

Il TAR ha evidenziato che l’art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286/1998, consente la conversione solo laddove l’attività lavorativa sia stata svolta “per almeno tre mesi”, e che, nel settore agricolo, tale requisito è quantificato proprio nella soglia delle 39 giornate trimestrali, da intendersi come prestazione continuativa e regolare, con copertura contributiva. La soglia temporale deve quindi essere rispettata non solo nel numero, ma anche nella concentrazione entro il trimestre di riferimento.

Significativo è l’approfondimento offerto dal Collegio in ordine alla natura non soggettiva del diritto all’ingresso e al soggiorno per lavoro: l’accesso al territorio nazionale per motivi lavorativi è subordinato a un regime autorizzatorio, inserito in una più ampia cornice di gestione statuale dei flussi migratori, come riconosciuto anche dal diritto dell’Unione Europea. Viene infatti richiamato l’art. 79, par. 5, TFUE, che riafferma la riserva di sovranità degli Stati membri nella determinazione del volume di ingresso per motivi di lavoro.

La pronuncia, in continuità con altre decisioni della medesima sezione (tra cui TAR Puglia, sent. n. 45/2025), ribadisce che l’Amministrazione è vincolata all’applicazione delle condizioni tipiche previste dal Testo Unico Immigrazione e dalle sue circolari attuative, escludendo margini di discrezionalità laddove l’istanza difetti dei presupposti normativi, anche alla luce di pareri tecnici – nel caso specifico, dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Il ricorso è stato quindi respinto, con compensazione delle spese di lite, e con dichiarazione di inammissibilità della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per carenza documentale (mancata produzione della certificazione consolare dei redditi esteri o dichiarazione sostitutiva).

Questa decisione conferma l’orientamento secondo cui il diritto al lavoro, pur riconosciuto a livello costituzionale e sovranazionale, non implica un automatismo nel riconoscimento o nella conversione del titolo di soggiorno in assenza dei requisiti positivi stabiliti dalla normativa primaria e dalla prassi consolidata.

Avv. Fabio Loscerbo


 

Il radicamento sociale come limite all’allontanamento: il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale ex art. 19, co. 1.1 TUI (Nota a Trib. Bologna, sez. immigrazione, sentenza 12 giugno 2025, n. R.G. 14052/2023)

 Il radicamento sociale come limite all’allontanamento: il Tribunale di Bologna riconosce la protezione speciale ex art. 19, co. 1.1 TUI

(Nota a Trib. Bologna, sez. immigrazione, sentenza 12 giugno 2025, n. R.G. 14052/2023)


1. Premessa

Con sentenza del 12 giugno 2025, il Tribunale Ordinario di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione – ha accolto il ricorso di un cittadino straniero avverso il diniego della Questura di Bologna al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il provvedimento si distingue per l’accurata ricostruzione normativa e giurisprudenziale del concetto di “radicamento” quale limite legittimo all’espulsione ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, TUI, così come modificato dal D.L. 130/2020 e prima dell’entrata in vigore del D.L. 20/2023.


2. Il contesto normativo

La controversia è stata inquadrata ratione temporis sotto la vigenza del D.L. 130/2020, in quanto la domanda amministrativa per la protezione speciale risale al 7 luglio 2022. In tale contesto, il divieto di refoulement si estendeva anche ai casi in cui l’allontanamento dallo Stato potesse comportare una lesione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del richiedente, ex art. 8 CEDU, così come recepito dal secondo periodo del comma 1.1 dell’art. 19 TUI.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 24413/2021) hanno chiarito che tale protezione non ha solo funzione residuale rispetto all’asilo e alla protezione sussidiaria, ma costituisce un vero e proprio diritto soggettivo in presenza di una vita privata consolidata e meritevole di tutela in Italia.


3. I presupposti di fatto

Il ricorrente è presente sul territorio italiano sin dal 2006. Ha regolarizzato più volte la propria posizione soggiornante, è coniugato, vive stabilmente con la moglie in stato di gravidanza e dispone di abitazione in affitto, con regolare contratto di locazione.

La sua posizione lavorativa è solida: è attualmente assunto con contratto a tempo indeterminato e reddito mensile medio di circa € 1.650. Ha ottenuto licenza media e attestato OSS, partecipa attivamente alla vita religiosa e ha dimostrato un’integrazione linguistica e sociale completa, avendo reso l’intera audizione davanti al giudice in lingua italiana.

Il Tribunale ha inoltre riconosciuto il tentativo costante di regolarizzazione e il lungo percorso di permanenza in Italia (quasi 19 anni), sottolineando l’assenza di precedenti penali, la continuità lavorativa e la stabilità familiare come elementi centrali nella valutazione del “radicamento”.


4. La motivazione giuridica

Il Collegio ha richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare l’ordinanza Cass. n. 7861/2022, secondo cui il radicamento può essere familiare, sociale o cronologico, e il rischio di compromissione del diritto alla vita privata sussiste anche qualora solo uno di questi fattori risulti concretamente integrato.

Nel caso di specie, il giudice ha evidenziato come il ricorrente abbia sviluppato una rete complessa di relazioni affettive, sociali ed economiche tali da rendere sproporzionato un eventuale allontanamento, anche alla luce dei parametri elaborati dalla Corte EDU (sentenza Niemetz c. Germania, 16 dicembre 1992).

Il riconoscimento della protezione speciale si è quindi fondato su una visione pienamente coerente con il principio personalista dell’art. 2 Cost. e con il principio di proporzionalità desumibile dal diritto convenzionale.


5. Conclusioni

Il Tribunale di Bologna ha accolto integralmente il ricorso, disponendo il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale con durata biennale, rinnovabile e convertibile per motivi di lavoro, ai sensi della disciplina previgente al D.L. 20/2023. Ha infine compensato le spese di lite, rilevando che i fatti posti a fondamento dell’accoglimento sono sopravvenuti rispetto alla decisione amministrativa impugnata.

Questo provvedimento conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale che vede nel radicamento sociale e familiare un fondamento sostanziale di tutela della dignità dello straniero regolarmente inserito in Italia.


Avv. Fabio Loscerbo







 

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