1) Le tre ipotesi di emersione/regolarizzazione
L’art. 103 d.l. 34/2020 prevede tre procedure amministrative all’esito delle quali, verificata la
sussistenza dei requisiti legali, è consentito regolarizzare lo status giuridico e/o lavorativo della
persona straniera presente in Italia o, comunque, convertire il proprio permesso di soggiorno in
un permesso di soggiorno per attesa occupazione o per motivo di lavoro subordinato.
Esse si realizzano al verificarsi di una delle seguenti ipotesi:
1) la conclusione di un contratto di lavoro subordinato ex novo, che si svolga in determinati
settori lavorativi, con cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, presenti sul
territorio nazionale da prima dell’8.3.2020 e che non se ne siano allontanati
successivamente (art. 103, co. 1, prima parte);
2) l’emersione di un rapporto di lavoro irregolare in corso, in determinati settori lavorativi,
con cittadini italiani o stranieri presenti sul territorio nazionale da prima dell’8.3.2020 e
che non se ne siano allontanati successivamente (art. 103, co. 1, seconda parte);
3) la richiesta da parte dei cittadini stranieri di un permesso di soggiorno temporaneo della
durata di sei mesi dalla presentazione dell’istanza, allorché si trovino in determinate
condizioni, ovvero (art. 103, co. 2):
a) abbiano un permesso di soggiorno scaduto dal 31.10.2019, che non sia stato
rinnovato né convertito;
b) siamo presenti in Italia da prima dell’8.3.2020, senza essersi allontanati
successivamente;
c) abbiano svolto attività lavorativa, in particolare modo se debitamente
comprovata, prima del 31.10.2019, purché in determinati settori lavorativi.
All’esito della procedura indicata al presente punto 3), qualora nel mentre sia stato reperito
un contratto di lavoro in determinati settori lavorativi, vi è la possibilità di convertire il
permesso di soggiorno temporaneo semestrale così acquisito in un permesso di soggiorno
per lavoro subordinato.
2) I soggetti proponenti l’istanza di emersione
Nelle ipotesi sub 1) e sub 2) l’istante è un datore di lavoro, cittadino italiano, dell’Unione
europea oppure un cittadino di Paese terzo titolare di permesso di soggiorno UE per
soggiornanti di lungo periodo rilasciato in Italia. La norma non considera - tra i proponenti - il
cittadino di Paese non appartenente all’U.E. che sia familiare di cittadino dell’Unione europea ai
5
sensi dell’art. 2, d.lgs. 30/2007, e sia titolare della carta di soggiorno per familiari di cittadino
comunitario non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell’U.E di cui all’art. 10, d.lgs.
30/2007. Tuttavia, siccome la disposizione indica tra i proponenti anche i cittadini dell’U.E. e
siccome l’art. 3, co. 1, d.lgs. 30/2007 prescrive che il citato decreto legislativo si applichi, non
solo ai cittadini dell’Unione, ma anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato U.E.,
si deve ritenere che costoro siano equiparati ai cittadini dell’Unione europea e, pertanto,
debbano essere compresi nel novero dei datori di lavoro proponenti1.
Nella ipotesi sub 3) l’istante è un cittadino di Paese terzo già in passato regolarmente
soggiornante.
3) I soggetti destinatari
Nelle ipotesi sub 1) sono cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea
“presenti” in Italia, quindi indipendentemente dal fatto che la loro “presenza” sia o meno
regolare, e quindi, che abbiano o meno un permesso di soggiorno in corso di validità.
Nelle ipotesi sub 2) il destinatario può essere sia un cittadino italiano che un cittadino
dell’Unione europea o di uno Stato terzo (in questo caso da intendersi atecnicamente,
dunque tanto dell’Unione europea che di Paese terzo): si tratta della classica emersione del
lavoro irregolare (quindi è del tutto irrilevante che lo straniero sia o meno titolare di permesso
di soggiorno valido, posto che quest’ultimo può essere stato assunto “in nero”);
Nell’ipotesi sub 3) le figure del proponente e del destinatario coincidono: si tratta di un
cittadino di Paese terzo già regolarmente soggiornante in Italia.
4) Le condizioni di applicabilità in relazione ai cittadini di
Paesi non appartenenti all’Unione europea: la prova della
presenza in Italia in data anteriore all’8.3.2020
1
Potrà verificarsi il caso di quei lavoratori attualmente occupati in maniera irregolare in uno dei tre settori
previsti dalla normativa per i quali il datore di lavoro non vorrà presentare l’istanza di regolarizzazione/emersione.
E’ opportuno segnalare la possibilità di presentare ricorso d'urgenza al Tribunale in funzione di giudice del lavoro il
quale potrà emettere un provvedimento che, non solo riconosce la sussistenza del rapporto in nero, ma anche
obbliga il datore a presentare la domanda di emersione (cfr. Trib. Venezia, Sez. Lav., decr. 15.2.2013; Tribunale di
Pisa, Sez. Lavoro, sent.. n. 6062 del 10.12.2002, in “Diritto Immigrazione e Cittadinanza”, Franco Angeli Editore,
n. 4/2002, pp. 170 e ss., nonchè le pronunce del Tribunale di Milano con le pronunce del 8/9.11.2002 - est. Martello
-, del 14.11.2002 - est. Canosa - e del 08.11.2002 - est. Santuosso - e del Tribunale di Bologna del 08.11.2002 - est.
Molinaro, tutte in “Diritto Immigrazione e Cittadinanza”, Franco Angeli Editore, n. 4/2002, pp. 161 e ss.). In tali
evenienze l’eventuale licenziamento del lavoratore in ragione della richiesta di regolarizzazione/emersione sarà da
considerarsi ritorsivo o discriminatorio e aprirà le porte alle tutele dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, anche nel
lavoro domestico (cfr. Trib. Venezia Sez. Lav., sent. n. 5695 del 18.9.2013).
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Tutte i provvedimenti di emersione/regolarizzazione che si sono succeduti nel corso degli anni
hanno sempre indicato una data entro la quale lo straniero parte del procedimento dovesse
provare di essere presente in Italia, e di non essersi successivamente allontanato. La ratio di
questa previsione è facilmente intuibile: evitare il cd. “effetto richiamo” che inevitabilmente
consegue ad ogni provvedimento di regolarizzazione.
Il D.L. n. 34/2020 indica la presenza alla data dell’8.3.2020 (data di inizio della c.d.
“quarantena” da Covid-19) che deve essere comprovata da parte dello straniero con una delle
seguenti modalità:
a) essere stato sottoposto a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8.3.2020, e non avere lasciato il
territorio nazionale dopo tale data. La norma non indica alcun termine a ritroso, quindi non
rileva “quanto” tempo prima dell’8.3.2020 debba essere avvenuto il fotosegnalamento.
Numerosi sono i casi in cui gli stranieri sono fotosegnalati. A titolo esemplificativo si
rammenta: all’atto del rilascio o rinnovo di qualsiasi permesso di soggiorno; in occasione
del soccorso in mare e dei conseguenti sbarchi sulle coste italiane; al momento
dell’adozione di provvedimenti di respingimento o di espulsione; all’atto della
formalizzazione della domanda di protezione internazionale; in occasione di fermi o arresti;
in occasione di controlli delle forze dell’ordine ecc. Ricordiamo che è onere dello straniero
dimostrare di non essersi allontanato dopo la data indicata, mentre appare indifferente ai
fini del buon esito della procedura la prova della continuativa presenza in Italia tra il
momento del fotosegnalamento e la suddetta data dell’8.3.2020 (anche perché nella realtà
sarebbe di difficilissima se non impossibile dimostrazione). Si ricorda, ancora, che l’attività
di fotosegnalamento è nella disponibilità delle banche dati in uso alle forze di polizia (SDI),
sicché il controllo dovrebbe essere agevole, tant’è vero che la Circolare diramata il
30.5.2020 dal Ministero dell’interno prevede che lo Sportello unico per l’immigrazione -
una volta ricevuta la domanda di regolarizzazione/emersione - chieda il parere alla questura
non solo in ordine alla insussistenza dei motivi ostativi (che saranno esaminati nel
prosieguo), ma pure circa “la presenza e la data dei rilievi fotodattiloscopici del lavoratore”. Quindi,
anche se lo straniero non avesse conservato copia di un documento da cui si desuma
l’avvenuto fotosegnalamento, questo sarà accertato dalla questura;
b) avere effettuato la dichiarazione di presenza - ai sensi della L. 28.5.2007, n. 68 - prima
dell’8.3.2020. Molti ignorano l’esistenza di questo istituto, per cui conviene farne breve
cenno. Si tratta della disciplina degli ingressi in Italia per soggiorni di breve durata (per
missione, gara sportiva, visita, affari, turismo, ricerca scientifica e studio): qualora il
soggiorno non sia superiore a tre mesi, lo straniero non deve chiedere il permesso di
soggiorno che è sostituito dalla dichiarazione di presenza resa obbligatoriamente alla
questura entro otto giorni lavorativi dall’ingresso se proviene da altri Paesi dell’area
Schengen; se, invece, l’ingresso da Paesi terzi avviene direttamente attraverso una frontiera
italiana, il timbro datario apposto sul passaporto dalla nostra polizia di frontiera vale come
dichiarazione di presenza. Ovviamente, lo scopo di tal dichiarazione consiste nello stabilire
la data d’ingresso da cui decorre il termine di novanta giorni, spirato il quale il soggiorno
7
diventa irregolare ed è obbligatoria l’espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs.
286/98;
c) infine, la presenza in Italia in data anteriore all’8.3.2020 può essere fornita tramite
“attestazioni costituite da documentazioni di data certa provenienti da organismi pubblici” (art. 103, co.
1, D.L. 34/2020). Ai sensi dell’art. 5, co. 2, DM 27.5.2020 “sono da considerare organismi
pubblici i soggetti, pubblici o privati, che istituzionalmente o per delega svolgono un funzione o
un’attribuzione pubblica o un servizio pubblico”2. La Circolare 30.5.2020 indica a titolo
meramente esemplificativo i seguenti documenti: “certificazione medica proveniente da struttura
pubblica, certificato di iscrizione scolastica dei figli, tessere nominative dei mezzi pubblici, certificazioni
provenienti da forze di polizia, titolarità di schede telefoniche o contratti con operatori italiani,
documentazione proveniente da centri di accoglienza e/ o di ricovero autorizzati anche religiosi, le
attestazioni rilasciate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia”. A tali ipotesi possono
sicuramente aggiungersi, ad esempio, anche ricevute nominative di invio o ricevimento di
denaro effettuato attraverso istituti bancari e/o agenzie di Money transfer, i biglietti di
vettori aerei e marittimi nominativi utilizzati per l’ingresso nello Stato, anche nel caso in cui
il vettore abbia coperto tratte infra Schengen. E’ assai probabile che, in assenza di
fotosegnalamento (o in caso di sua risalenza nel tempo) questa documentazione sarà
largamente utilizzata dai lavoratori stranieri al fine della prova della presenza in data
anteriore all’8.3.2020. Occorre avvertire che la presentazione di false attestazioni o
dichiarazioni o la loro contraffazione o alterazione, non solo costituisce reato ai sensi
dell’art. 103 co. 21, D.L. 34/2020, ma rischia di pregiudicare il buon esito della procedura
di regolarizzazione.
2
Si rammenta, inoltre, che la Circolare Min. Interno 410/2012 (richiamata nella Circ. Min. interno,
Dipartimento di Pubblica Sicurezza prot. 400/C/2020 del 30.6.2020) specifica possa trattarsi di “...documentazione che,
pur non provenendo da un’amministrazione pubblica, è comunque rilasciata da soggetti che erogano servizi e/o
intrattengono relazioni di carattere lato sensu pubblici, e ciò indipendentemente dalla condizione di regolarità
dell’utente”.
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5) La limitazione a determinati settori di attività
lavorative
Tutte le tre ipotesi di regolarizzazione/emersione (assunzione ex novo, emersione rapporto di
lavoro irregolare e richiesta di permesso di soggiorno semestrale per i “già presenti”
regolarmente) riguardano soltanto rapporti di lavoro svolti o da svolgere in tre settori di
attività lavorative (art. 103, co. 3, D.L. 34/2020):
a) agricoltura, allevamento e zootecnica, pesca e acquacoltura e attività connesse;
b) assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non
conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;
c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
La limitazione a soli tre ambiti lavorativi della regolarizzazione/emersione costituisce l’aspetto
più criticabile del provvedimento, apparendo irragionevole l’esclusione di altra attività in cui
pure sono occupati molti lavoratori stranieri, come l’edilizia, la logistica, la ristorazione, il tessile
ecc. L’art. 4, co. 2, DM 27.5.2020 specifica che le attività connesse vanno individuate tra quelle
elencate nell’allegato 1 al suddetto decreto ministeriale, che costituisce parte integrante del
decreto stesso. Si è così ampliato l’ambito di impiego della manodopera ad una serie di attività
funzionali ad assicurare la effettiva operatività dei settori dell’agricoltura, dell’allevamento e
zootecnica, della pesca ed acquacoltura. Sono così ricomprese, tra le altre, le attività concernenti
gli agriturismi, la produzione di carni, di succhi di frutta, di derivati del latte, di biscotti a paste
alimentari e l’industria delle bevande (birra, vino, distillati), fino alle attività di servizi per edifici
e paesaggio (cura e manutenzione di parchi, giardini e aiuole) e, dunque, fino a comprendere le
attività manifatturiere delle industrie alimentari.
Prima della pubblicazione del DM 27.5.2020 (espressamente previsto dall’art. 103, co. 5, D.L. n.
34/20), ci si interrogava in particolare sull’ambito di estensione del concetto di “attività connesse”
in ambito agricolo, per verificare la possibilità di giungere ad un ampliamento della categoria e
la conclusione poteva essere individuata nel concetto di “attività connesse” definite all’art. 2135,
cod. civ. con riferimento all’imprenditore agricolo. Tale norma, unitamente alle interpretazioni
amministrative e giurisprudenziali in ordine alle “attività connesse” potrà ancora essere presa in
considerazione al fine di ricomprendervi attività non esplicitamente richiamate dal citato
decreto ministeriale.
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6) L’applicazione della limitazione delle attività
produttive con riguardo alle specifiche ipotesi di
regolarizzazione/emersione
La limitazione dei rapporti di lavoro a settori di attività definiti riguarda, come detto, tutte e tre
le ipotesi in cui si articola la regolarizzazione/emersione in questione.
Il che comporta:
a) quanto alla stipula di contratti di lavoro subordinato ex novo con cittadini stranieri “presenti
sul territorio nazionale prima dell’8.3.2020” (art. 103, co. 1, prima parte), che è consentita
l’assunzione di manodopera straniera esclusivamente in uno dei settori indicati;
b) quanto alla dichiarazione di sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare tuttora in corso
(l’unica ipotesi di emersione del lavoro sommerso), che possono emergere solo i rapporti di
lavoro inerenti i settori lavorativi indicati, con la conseguenza che un bracciante “in nero”
potrà essere regolarizzato, ma non altrettanto un muratore che lavori irregolarmente, il che
suscita dubbi circa la ragionevolezza di tale limitazione con riferimento al contrasto allo
sfruttamento lavorativo, al lavoro irregolare ed all’economia sommersa. Vero è che il
legislatore gode di ampia discrezionalità politica nelle sue scelte, tuttavia v’è pur sempre il
limite della ragionevolezza;
c) quanto alle ipotesi di cui all’art. 103, co. 2, cit. la rilevanza della limitazione delle attività
produttive è addirittura duplice. Infatti, il meccanismo delineato per consentire ad un
cittadino straniero - già soggiornante regolarmente - di potere richiedere il rilascio di un
permesso di soggiorno semestrale, sostanzialmente per ricerca lavoro, prevede:
c.1) che si tratti di uno straniero con permesso di soggiorno scaduto dal 31.10.2019, non
rinnovato o convertito ad altro titolo (e presente in Italia alla data dell’8.3.2020 senza
essersi allontanato);
c.2)che costui abbia svolto, precedentemente al 31 ottobre 2019, attività di lavoro;
c.3)che tale attività di lavoro sia stata svolta in uno dei tre settori indicati.
La norma (art. 103, co. 2) non specifica né se l’attività lavorativa pregressa debba essere stata
svolta durante il periodo di validità dell’ultimo permesso di soggiorno scaduto il 31 ottobre
scorso e nemmeno se tale attività debba essere svolta sulla base di un regolare contratto di
lavoro o meno (fermo restando le modalità di accertamento del rapporto di lavoro, su cui v.
infra).
La stessa disposizione prevede che, se nel termine di sei mesi di durata di questo particolare
permesso di soggiorno, lo straniero “esibisce un contratto di lavoro subordinato ovvero la documentazione
retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento di attività lavorativa in conformità alle previsioni di legge,
nei settori di cui al comma 3, il permesso semestrale viene convertito in permesso di soggiorno per motivi di
lavoro”.
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La valenza duplice del vincolo inerente le limitazioni delle attività lavorative è evidente: non
solo, infatti, questo ipotetico lavoratore dovrà trovare un’occupazione soltanto in uno dei tre
settori per poter avere un permesso di soggiorno per lavoro subordinato (al pari degli altri
lavoratori di cui si occupa la legge in commento), ma deve pure dimostrare di aver lavorato in
precedenza in uno dei tre settori, a scelta. La razionalità della previsione normativa francamente
sfugge, posto che non si tratta di mansioni che richiedono elevata specializzazione. La
conseguenza è che un ex bracciante può essere assunto come badante, ma un ex muratore non
potrà fare il mandriano.
7) La platea dei destinatari: gli stranieri che emergono
7.1) L’istanza di permesso di soggiorno temporaneo di cui all’art. 103,
co. 2, d.l. 34/2020
Per ragioni di continuità dell’analisi soffermiamoci ancora sull’ipotesi di cui all’art. 103, co. 2,
cit. La ratio consiste nell’offrire un’opportunità (a condizioni di dubbia ragionevolezza, come
abbiamo evidenziato poc’anzi) agli stranieri “già presenti” regolarmente. Tra essi rientrano
certamente (ma non solo, come vedremo al punto 7.2) i cd. overstayers, coloro che si sono
trattenuti in Italia dopo la scadenza del permesso di soggiorno, a vario titolo posseduto.
Deve innanzitutto considerarsi che tale ipotesi di regolarizzazione riguarda cittadini stranieri
con permesso di soggiorno scaduto dal 31.10.2019, non rinnovato né convertito. Con tale
locuzione si intende certamente un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31.10.2019 di cui
non sia stato chiesto il rinnovo o la conversione nel termine di legge; ma si intende anche un
permesso di soggiorno di cui il rinnovo o la conversione siano stati chiesti, ma relativamente ai
quali la P.A. non abbia ancora concluso il procedimento con un provvedimento definitivo. E’
vero, infatti, che nelle more del rinnovo la persona straniera conserva i diritti sottostanti il titolo
di soggiorno formalmente scaduto (tra i quali il diritto al lavoro, l'iscrizione al SSN, ecc.), ma
l’art. 103, co. 2, d.l. 34/2020 non è espressamente riferito a persone in condizione di soggiorno
irregolare, ma a persone il cui titolo di soggiorno è scaduto o non (ancora) rinnovato o
convertito.
Infine, si consideri che la questura, prima di rigettare la domanda di rinnovo del titolo di
soggiorno, deve comunicare all’interessato l’esistenza dei motivi ostativi all’accoglimento della
domanda ai sensi dell’art. 10 bis, L. 241/90 che comporta la sospensione del procedimento per
dieci giorni al fine di consentire all’interessato di presentare eventuali osservazioni, e, solo
successivamente, potrà eventualmente adottare il provvedimento di rigetto. Questa procedura,
prevista dalla legge n. 241/90 a garanzia della trasparenza dell’attività delle P.A. e della
partecipazione del privato nel procedimento amministrativo che lo riguarda, comporta
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ordinariamente un ulteriore ritardo nella definizione delle domande di rinnovo del permesso di
soggiorno.
In conclusione: per permesso scaduto e non rinnovato si intende o che l’interessato abbia
omesso di chiedere il rinnovo/conversione nei termini di legge, ovvero, se il
rinnovo/conversione è stato richiesto, che tale istanza sia stato rigettata dalla questura o che sia
tutt’ora pendente il relativo procedimento amministrativo (l’eventuale impugnazione del rigetto
avanti l’autorità giudiziaria di per sé non sospende automaticamente l’efficacia esecutiva del
rigetto, tranne che sia stata richiesta e concessa la tutela cautelare, la cd. “sospensiva”).
7.2) Gli stranieri titolari di permesso di soggiorno diverso da quello per motivi di
lavoro subordinato
Non potranno accedere alla procedura di cui all’art. 103, co. 2, D.L. 34/2020 coloro che sono
titolari di permesso di soggiorno in corso di validità al momento della presentazione dell’istanza
alla Questura. La indicata norma, come detto, presuppone un permesso di soggiorno scaduto a
partire dal 31.10.2019, non rinnovato né convertito.
Qualora costoro prestino attività lavorativa irregolare in uno dei tre settori indicati all’art. 103
co. 3 cit. potranno beneficiare dell’ipotesi dell’emersione (art. 103, co. 1, seconda parte): la
dichiarazione del lavoro irregolare avanzata dal datore di lavoro, sussistendo tutte le condizioni
di legge, ivi compresa la dimostrazione della presenza in Italia alla data dell’8.3.2020. E’ ben
possibile, infatti, che lavorino “in nero” anche stranieri regolarmente soggiornanti.
Analogamente, potrebbero essere assunti ex novo in uno dei tre settori anche stranieri titolari di
permesso di soggiorno, posto che la norma si riferisce genericamente ai “cittadini stranieri presenti
sul territorio nazionale” senza ulteriori precisazioni.
Tanto stabilito, si pone la questione della possibile conversione del permesso di soggiorno in
corso di validità - evidentemente diverso da quello per lavoro, altrimenti non si porrebbe il
problema - in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.
La platea dei beneficiari pare piuttosto ampia, riguardando i titolari di permessi di soggiorno in
corso di validità che non garantiscono una continuità soggiorno regolare nel tempo per ragioni
intrinseche alla tipologia del titolo di soggiorno: è il caso dei titolari di permesso di soggiorno
per assistenza minore ex art. 31, co. 3, TU, dei titolari di permesso di soggiorno per cure
mediche, per motivi religiosi, dei richiedenti protezione internazionale, dei titolari di permesso
di soggiorno per calamità, per protezione sociale, per studio ed altri ancora.
Deve ritenersi che costoro non solo possano accedere alla regolarizzazione/emersione di cui
all’art. 103, co. 1, D.L. 34/2020, ma, ove la procedura vada a buon fine, possano mutare il titolo
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di soggiorno posseduto in permesso per motivi di lavoro subordinato, ove lo desiderino.
Con particolare riguardo ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo, si ritiene che essi
possano accedere all’emersione/regolarizzazione, senza rinunciare alla domanda di protezione:
sia se la stessa penda in fase amministrativa, sia se i ricorsi giurisdizionali siano in corso, perché
la legge non chiede tale rinuncia. Infatti, il diritto soggettivo alla protezione internazionale -
diritto fondamentale della persona garantito da fonti sovranazionali, convenzionali e
costituzionali - nulla ha a che vedere con l’emersione o regolarizzazione dei rapporti di lavoro:
si tratta di piani diversi. Così come il titolare di permesso per motivi umanitari o per casi
speciali non è affatto tenuto a rinunciare all’azione giudiziaria intrapresa al fine di ottenere il
riconoscimento di una protezione tipica (rifugio politico o protezione sussidiaria),
analogamente non è tenuto a rinunciare alla domanda di protezione sol perché ha regolarizzato
la sua posizione lavorativa e ha interesse al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di
lavoro subordinato assai più tutelante perché rinnovabile. Solo all’esito definitivo della
domanda di protezione, lo straniero dovrà optare tra quale permesso di soggiorno mantenere,
posto che non è consentito avere due permessi di soggiorno. Anzi, a ben vedere, attesa la
natura dichiarativa del riconoscimento della protezione internazionale (diritto che preesiste
rispetto al momento del suo riconoscimento) ove il protetto, titolare di permesso di soggiorno
per motivi di lavoro, dovesse perdere tale titolo di soggiorno (per sopravvenuta disoccupazione,
o per altre cause), conserverebbe il diritto soggettivo al rilascio di un permesso di soggiorno per
protezione internazionale, qualora le condizioni che ne avevano giustificato il riconoscimento
continuassero a sussistere.
7.3) Gli stranieri titolari di permesso di soggiorno diverso da quello per
motivi di lavoro subordinato che svolgono regolare attività lavorativa
Questo è forse uno degli aspetti più delicati della nuova normativa.
Occorre innanzitutto rammentare che taluni permessi di soggiorno diversi da quello per motivi
di lavoro, consentono di svolgere regolare attività lavorativa: è il caso, tra gli altri, del permesso
di soggiorno per assistenza minore, di quello per attesa asilo (quest’ultimo decorsi due mesi dal
primo rilascio), di quello per studio e di quello per casi speciali.
E’ prioritario verificare se l’attività lavorativa effettivamente svolta rientri o meno nell’ambito
delle tre diverse tipologie di lavoro previste all’art. 103, co. 3, D.L. 34/2020.
Nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa non rientrasse tra quelle indicate dalle nuove disposizioni
sulla regolarizzazione, per poterne beneficiare il lavoratore dovrebbe o licenziarsi dal lavoro che
ha in corso e farsi assumere in altro rapporto di lavoro in uno dei tre settori, ovvero mantenere
il rapporto di lavoro in essere e farsi assumere part-time. A questo proposito si evidenzia che,
13
mentre la circolare del 30.5.2020 del Dipartimento delle libertà civili, indicava come unico
ambito lavorativo per cui era ammessa la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale
quello del lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare, tale irragionevole disparità di
trattamento è stata corretta dalla successiva Circolare Protocollo 0001455 del 5.6.2020 del
medesimo Dipartimento del Ministero dell’Interno, il quale ha preso atto della
circostanza che il contratto di lavoro può essere a tempo determinato o a tempo
indeterminato, a tempo pieno o anche a tempo parziale e ciò per ognuno dei settori
lavorativi previsti dalla attuale normativa3.
Se, invece, il titolare di permesso di soggiorno diverso da quello per motivi di lavoro
subordinato fosse già regolarmente assunto da un datore di lavoro operante nell’ambito dei tre
settori previsti, al fine di potere ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro il
lavoratore dovrebbe licenziarsi e farsi riassumere dallo stesso datore di lavoro o da altro
rientrante nei settori previsti. Il che è irragionevole, perché impone oneri ulteriori al datore di
lavoro che ha rispettato la normativa, assumendo alle proprie dipendenze un titolare di
permesso di soggiorno per richiesta asilo o comunque di un permesso di soggiorno che
consente l’esercizio di attività lavorativa. Tuttavia, siccome in base all’art. 5, co. 1, lett. d) del
D.M. 27.5.2020 il datore di lavoro deve limitarsi ad inviare telematicamente la proposta di un
contratto di soggiorno, il rapporto di lavoro in essere potrebbe continuare, salvo poi, quando
dopo parecchi mesi le parti verranno convocate allo Sportello unico per la stipula del contratto
di soggiorno, stipulare il contratto aggiornato.
8) I limiti reddituali richiesti ai datori di lavoro per la
presentazione delle istanze di regolarizzazione/emersione
Il D.L. 34/2020 demanda ad un decreto del Ministero dell’interno, di concerto con altri
dicasteri, l’individuazione dei limiti di reddito richiesti al datore di lavoro per la conclusione del
rapporto di lavoro conseguente alla presentazione delle istanze di cui ai commi 1 e 2 dell’art.
103. L’art. 9, D.M. 30.5.2020 prescrive che l’ammissione alla procedura in questione è
condizionata dall’attestazione del possesso, da parte del datore di lavoro (persona fisica,
ente o società) di un reddito imponibile o di un fatturato - risultante dall’ultima
dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio precedente - non inferiore a 30.000 € annui
3
Suscitava molti dubbi, sotto il profilo del rispetto della gerarchia delle fonti del diritto, che una limitazione
così drastica all’impiego di lavoratori a tempo parziale fosse definita tramite circolare, invece che da una norma di
rango primario. Non ci soffermiamo su tale illegittima distinzione, ma merita essere sottolineato che tale illegittimità
persiste allorquando, solo relativamente al lavoro domestico, la circolare del 5.6.2020 prevede che la retribuzione
mensile debba essere non inferiore al minimo previsto per l’assegno sociale, anche in questo caso introducendo
nella disciplina speciale appena emanata una limitazione che non trova riscontro normativo, che non si ricollega alla
molteplicità delle situazioni effettivamente verificabili e che potrebbe essere oggetto di disapplicazione in sede
amministrativa e/o giudiziaria.
14
relativamente ai settori produttivi dell’agricoltura, allevamento e zootecnica, pesca e
acquacoltura e attività connesse; mentre per l’emersione del lavoro domestico o di cura alla
persona per se stessi o per componenti la propria famiglia - ancorché non conviventi - affetti da
patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza il reddito del datore di lavoro non può
essere inferiore a 20.000€ annui in caso di nucleo familiare composto da un solo soggetto
percettore di reddito, ovvero a 27.000€ annui nel caso di nucleo familiare - inteso come famiglia
anagrafica - composto da più conviventi, evidentemente tutti o in parte percettori di reddito,
viceversa non avrebbe senso l’aumento del limite reddituale. Il coniuge e i parenti entro il
secondo grado possono concorrere alla determinazione del reddito, anche se non conviventi.
Nella valutazione reddituale possono anche essere considerati redditi esenti dalla dichiarazione
annuale come l’assegno di invalidità.
Si precisa, tuttavia, non sono previsti limiti reddituali per il datore di lavoro affetto da
patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza, nel caso in cui questi effettui la
dichiarazione di emersione per un unico lavoratore addetto alla sua assistenza.
Nell’ipotesi di presentazione di dichiarazioni di emersione per più lavoratori da parte dello
stesso datore di lavoro, la congruità della capacità economica del datore di lavoro è effettuata
dall’Ispettorato territoriale del lavoro: ove la capacità economica non sia congrua in relazione a
tutte le richieste, saranno accolte le richieste per le quali le capacità economiche risultano
congrue, in base all’ordine cronologico di presentazione delle istanze.
9) Le cause ostative
9.1) Le cause ostative per i datori di lavoro
Ai sensi dell’art. 103, co. 8 sono cause di inammissibilità delle istanze di cui ai commi 1 e 2
le condanne - riportate negli ultimi 5 anni - anche non definitive, comprese quelle per
patteggiamento, per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, limitatamente alle
ipotesi di cui all’art. 12, co. 1 e 3 TU (favoreggiamento dell’ingresso illegale e dell’emigrazione
illegale), 600 cp (riduzione in schiavitù), 603 bis cp (caporalato e sfruttamento lavorativo) e 22,
co. 12 TU (assunzione di lavoratori privi di permesso di soggiorno che consenta l’attività
lavorativa, quindi il datore di lavoro che fa emergere il lavoro irregolare si autodenuncia, anche
se il comma 11, lett. b)della norma in esame prevede che durante la procedura di emersione i
procedimenti per tali reati sono sospesi.) Queste cause ostative operano sia nelle ipotesi di cui al
comma 1 e, per quanto concerne il comma 2 “limitatamente alle ipotesi di conversione del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro”. Il limite per le ipotesi del comma 2, significa che la causa ostativa in
questione opera nel caso in cui il titolare di permesso di soggiorno di sei mesi trovi lavoro in
una delle categorie di cui al comma 3 e, quindi, converta il titolo semestrale in permesso per
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lavoro. Il che è logico perché durante i primi 6 mesi non si instaura subito un rapporto di
lavoro, quindi non può essere causa ostativa alla regolarizzazione semestrale, proprio perché
questa causa di emersione è svincolata dal reperimento immediato del lavoro. E’ comunque
irrazionale che si preveda che la domanda di emersione sia inammissibile a causa delle
condanne ostative per fatti propri del datore di lavoro (ignoti e indipendenti dal lavoratore),
senza prevedere il rilascio di un permesso per attesa occupazione.
Invece, ai sensi del comma 9, costituiscono ulteriori cause di rigetto (e non di inammissibilità)
delle istanze di cui ai commi 1 e 2, la mancata sottoscrizione del contratto di soggiorno, ovvero
la mancata assunzione (salvo i casi di forza maggiore) comunque intervenute a seguito di
procedure di ingresso per motivi di lavoro subordinato o di procedure di emersione di lavoro
irregolare.
Questa previsione inerisce a inadempimenti del datore di lavoro “comunque intervenuti” ,
quindi in pregresse procedure di ingresso per lavoro o di emersione, in cui il datore di lavoro
non ha poi terminato l’iter o non sottoscrivendo il contratto di soggiorno, ovvero senza
procedere all’assunzione. Insomma, procedure “lasciate a metà”, senza che sia intervenuta
condanna per favoreggiamento dell’immigrazione illegale ( perché altrimenti la condanna
sarebbe di per sé ostativa) ovvero se la condanna è anteriore al quinquennio (perché in tal caso
non è ostativa, secondo la previsione del comma 8). In tali ipotesi però è evidente che ne fa
faccia le spese il lavoratore su cui ricadrebbe l’onere - davvero diabolico - non solo di verificare
se il datore ha subito condanne nell’ultimo quinquennio, ma pure se in precedenza avesse fatto
richiesta di assunzione di lavoratori stranieri senza portarla a termine: ad impossibilia nemo
tenetur! Sicché è irragionevole la mancata previsione del rilascio di un permesso per attesa
occupazione in questi casi, che è previsto solo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, non
anche in presenza di cause ostative proprie del datore di lavoro, ignote al lavoratore.
9.2) Le cause ostative per i lavoratori cittadini di paesi terzi
Ai sensi dell’art. 103, co. 10, sono ostative pregresse espulsioni ministeriali o di prevenzione del
terrorismo, anche internazionale, ed espulsioni per motivi di pericolosità sociale ex art. 13, co.
2, lett. c) T.U. mentre non sono ostative le espulsioni amministrative per ingresso e/o
soggiorno illegale (art. 13, co. 2, lett. a) e b) T.U). Sono altresì ostative le condanne - comminate
anche con sentenze non definitive o patteggiate - per i reati per cui è ordinariamente vietato
l’ingresso o il soggiorno in Italia ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 4, co. 3 e 5, co.
5 TU., mentre le sentenze di condanna per i reati per cui è previsto l’arresto facoltativo in
flagranza (art. 381 c.p.p.) sono tenute in considerazione nell’ambito di una più ampia
valutazione della pericolosità sociale (quindi per queste condanne non è previsto alcun
automatismo preclusivo).
Rientra tra le cause ostative la segnalazione - sulla base di accordi o segnalazioni internazionali
vigenti - ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato.
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Quanto alle espulsioni ostative ovviamente non debbono essere state eseguite, poiché lo
straniero deve trovarsi in Italia alla data dell’8.3.2020 , peraltro dovrebbero non essere più
ostative se eseguite ma è decorso il termine di divieto di reingresso e il destinatario abbia fatto
reingresso in Italia dopo il decorso di tale termine, anche eludendo i controlli di frontiera,
perché le espulsioni per irregolarità dell’ingresso o del soggiorno (art. 13, co. 2, lett. a) e b) TU)
non sono ostative all’emersione di cui ai commi 1 e 2.
Quanto alle persone precedentemente espulse per una tipologia di espulsione non ostativa, nei
casi in cui lo straniero abbia fatto reingresso illegale in Italia, queste continuano a non essere
ostative, purché il reingresso sia avvenuto prima dell’8.3.2020, e dovrebbe sospendersi il
procedimento penale per violazione dell’art. 13 co. 13 T.U (che punisce il reingresso illegale
dello straniero espulso).
Nulla è previsto per le ipotesi di pregresso respingimento alla frontiera - immediato o differito -
disposto ex art. 10 co. 1 e 2, TU, che pertanto non rientra nelle cause ostative.
Quanto alle condanne per reati ostativi, si rammenta che occorre far riferimento ai titoli di reato
per cui v’è stata condanna, indipendentemente dalla gravità del fatto o dall’entità della pena
irrogata, anche se condizionalmente sospesa. Le condanne penali, per essere ostative, debbono
avere ad oggetto i seguenti titoli di reato: tutti i reati indicati nell’art. 380 c.p.p., oltre ai reati in
materia di stupefacenti (comprese le ipotesi lievi ex art. 73, co, 5, d.P.R. 309/90, a seguito della
sentenza Corte cost. n. 277/2014), tutti i delitti contro la libertà personale, il favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri
Stati o i reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo
sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.
Quanto all’inammissibilità derivanti da accordi internazionali, spicca la segnalazione Schengen:
il che costituisce certamente un dato illogico e irragionevole posto che dette segnalazioni
possono essere state inserite da altri Stati aderenti alla omonima convenzione anche per
irregolarità dell'ingresso o del soggiorno. Sarebbe davvero paradossale precludere la
regolarizzazione ad uno straniero espulso da altro Stato europeo per irregolarità amministrativa
dell’ingresso o del soggiorno quando, invece, analoga espulsione disposta dall’Italia non è
ostativa. Dovrà quindi prevedersi che l’amministrazione effettui - in caso di segnalazione
Schengen ai fini dell’inammissibilità del richiedente - uno specifico accertamento volto a
verificare i motivi (ostativi o meno) della segnalazione operata da altro Stato aderente alla
convenzione Schengen. Al proposito, non dovrebbe esser sufficiente un accesso agli atti tramite
SIS (sistema informatico Schengen) ma occorrerebbe interrogare il sistema SIRENE, cosa che
può essere effettuata solo dalla PA.
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10) La sospensione dei procedimenti penali e
amministrativi
Dalla data di entrata in vigore del DL 19 maggio 2020, n. 34 e fino alla conclusione dei
procedimenti di cui ai commi 1 e 2, sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi
(art. 103 co. 11) :
a) a carico del datore di lavoro per l’impiego di lavoratori per i quali è stata presentata la
domanda di emersione;
b) a carico del lavoratore con riguardo alle violazioni delle norme relative all’ingresso e al
soggiorno, con esclusione di tutti i reati di favoreggiamento di cui all’art. 12 TU.
Tale sospensione, per i datori di lavoro è limitata alla seconda delle ipotesi di cui al comma 1
(quella inerente l’emersione del lavoro irregolare), riguarda sia le omissioni fiscali e contributive
che l’illecito penale di cui all’art. 22, co. 12, TU. Siccome nel caso di assunzione ex novo non c’è
nessun illecito, è presumibile che ben pochi saranno i casi in cui il datore opterà per
l’emersione, essendo più conveniente l’assunzione ex novo.
Invece, per il lavoratori, i procedimenti sospesi riguardano i reati connessi con l’ingresso ed il
soggiorno illegale, compresi quelli connessi alle espulsioni amministrative; mentre le violazioni
amministrative riguardano la sospensione delle espulsioni per ingresso e soggiorno illegale ex
art. 13, co. 2, lett. a) e b) e dei respingimenti.
Gli effetti della sospensione cessano se alcuna istanza è stata presentata nella forbice temporale
1 giugno - 15 luglio, ovvero se l’istanza è stata rigettata o archiviata. Si procede comunque
all’archiviazione dei procedimenti penali e amministrativi sospesi a carico del solo datore di
lavoro se il rigetto o l’archiviazione dell’istanza deriva da cause indipendenti dalla volontà o dal
comportamento del datore di lavoro.
11) La sospensione delle espulsioni
Il comma 17 dell’art. 103 prevede che lo straniero non possa essere espulso nelle more dei
procedimenti di cui al presente articolo, con eccezione di quelle tipologie di espulsioni che sono
ostative alla regolarizzazione, indicate dal comma 10 (espulsioni ministeriali ex art. 13, co. 1,
T.U. o di prevenzione del terrorismo, anche internazionale, ed espulsioni per motivi di
pericolosità sociale ex art. 13, co. 2, lett. c) T.U.).
E’ una vera e propria moratoria delle espulsioni: sia di quelle già disposte e che sono in attesa di
essere eseguite, sia di quelle che potrebbero essere adottate. La sospensione opera
temporalmente “nelle more dei procedimenti di cui al presente articolo”: cioè dalla data di entrata in
vigore del D.L. 34/2020 (19.5.2020, data di inizio della sospensione dei procedimenti) e cessa
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qualora alcuna domanda di regolarizzazione/emersione sia stata presentata entro il termine di
chiusura della regolarizzazione, il 15.7.2020, oppure in caso di rigetto/inammissibilità della
domanda.
Nulla si dice dei respingimenti, tuttavia non v’è ragione per escludere i respingimenti differiti
dalla sospensione, specie dopo la riforma del 2018 che ha sostanzialmente equiparato i
respingimenti differiti alle espulsioni per ingresso illegale.
Per quanto concerne i respingimenti immediati, se sono tali dovrebbero essere esclusi dalla
sospensione perché il tentativo d’ingresso è necessariamente avvenuto dopo l’8.3.2020,
diversamente non sarebbero più immediati, e, come sappiamo, la norma in esame si applica alla
condizione di essere stati fotosegnalati prima di tale data.
Analogamente debbono cessare i trattenimenti disposti in attesa dell’esecuzione delle espulsioni
oggetto di sospensione così come dei respingimenti differiti.
Qui si pone la delicata questione dei provvedimenti di trattenimento convalidati o prorogati il
cui termine massimo scada dopo il 15 luglio (termine di chiusura della regolarizzazione). Il
trattenimento dovrebbe cessare se il trattenuto presenta domanda di emersione, il che è
praticamente impossibile in pendenza di trattenimento attese le notevoli difficoltà di
comunicazione con l’esterno derivanti dalla limitazione della libertà personale. Una soluzione
ragionevole potrebbe essere quella di verificare innanzitutto il motivo
dell’espulsione/respingimento presupposti del trattenimento: se il trattenuto rientra nelle
categorie per cui la legge esclude la regolarizzazione ( le cause ostative ), nulla quaestio,
diversamente il trattenuto dovrebbe essere informato della possibilità di accedere all’emersione/
regolarizzazione e conseguentemente dimesso, salvo dichiari di non essere interessato. Tuttavia,
attesa la mancata previsione normativa di un obbligo di informazione da parte degli enti gestori,
della prefettura, della questura e men che meno di organizzazioni del terzo settore circa le
condizioni cui accedere alla regolarizzazione, è evidente che i trattenuti continueranno ad essere
privati della libertà personale e ad essere illegittimamente esclusi dall’accesso alle procedure di
cui all’art. 103 D.L. 34/2020. Tale illegittimità può essere sanata solo da un provvedimento ad
hoc della PA, ovvero in sede di riesame o proroga del trattenimento.
Quanto ai trattenuti richiedenti asilo, siccome anche i richiedenti possono accedere alla
procedura di regolarizzazione, dovrebbe ritenersi che operi analogamente la sospensione e,
quindi, i trattenimenti debbono cessare, tanto più che le espulsioni per ingresso e soggiorno
illegale sono sospese (anche di fatto per via della pandemia). Tuttavia, in presenza di cause
ostative inerenti alle condanne penali riportate per reati ostativi, così come in presenza di
ingressi avvenuti dopo l’8.3.2020 - si pensi ai trattenimenti a fini identificativi negli hotspot -
l’autorità amministrativa di pubblica sicurezza o il giudice della convalida, della proroga o del
riesame, debbono negare la cessazione della misura di detenzione amministrativa, perché si
tratta di presupposti normativamente previsti che non consentono la regolarizzazione. Quindi,
il trattenuto per motivi di pericolosità sociale - che sia o meno richiedente asilo - al pari di chi è
appena sbarcato non potrà accedere alla regolarizzazione e non sarà dimesso dal CPR per
motivi inerenti la procedura di regolarizzazione. Qui non si pone la questione se possa essere
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direttamente l’autorità di PS a decidere chi possa o meno rientrare nella regolarizzazione
(questione che si era posta nelle passate regolarizzazioni) perché c’è comunque il controllo
giurisdizionale operato dall’A.G. in sede di convalida, proroga e riesame.
12) La presentazione delle istanze
12.1) Presentazione delle istanze da parte del datore di lavoro presso lo
Sportello unico dell’immigrazione
Le modalità di presentazione delle istanze di assunzione ex novo e di emersione del lavoro
irregolare per lavoratori cittadini di paesi terzi sono indicate agli artt. 1 e 5, D.M. 27.5.2020.
Le istanza sono presentate esclusivamente allo Sportello unico immigrazione con modalità
informatiche dalle ore 7,00 del 1^giugno alle ore 22,00 del 15 luglio 2020 su un applicativo
disponibile su un sito web del Dipartimento libertà civili del Ministero dell’interno
(https://nullaostalavoro.dlci.interno.it/).
Le fasi della procedura e le modalità di compilazione delle domande sono indicate nel Manuale
di utilizzo del sistema pubblicato sul web dal Ministero dell’interno.
Il contenuto di queste istanze è indicato all’art. 5 del D.M. e prevede l’indicazione, a pena di
inammissibilità:
a) dati identificativi del datore di lavoro corredati con gli estremi di un documento di
riconoscimento in corso di validità;
b) dati identificativi dello straniero con gli estremi di un documento di riconoscimento valido
( non è richiesto, nella fase di presentazione dell’istanza, l’indicazione o la produzione di
copia del passaporto. Si ricorda che il permesso di soggiorno, anche per attesa asilo, è un
documento di riconoscimento);
c) la dichiarazione circa la presenza dello straniero un data anteriore all’8.3.2020, con
l’indicazione della risultanza;
d) la proposta di contratto di soggiorno (ovviamente nell’ambito dei settori lavorativi previsti);
e) l’attestazione dei requisiti reddituali del datore di lavoro;
f) la dichiarazione della retribuzione non inferiore a quella prevista dal CCNL, in concreto
applicabile;
g) la durata del contratto di lavoro;
h) l’indicazione della data della ricevuta del pagamento del contributo forfettario di 500€ per
ogni lavoratore, le cui modalità sono indicate al comma 8 (si effettua tramite apposito
modello F24), in ogni caso il contributo forfettario non verrà restituito se la procedura non
va a buon fine, tale contributo non è deducibile ai fini dell’imposta sul reddito;
i) l’indicazione del codice a barre della marca da bollo di 16€ per i costi della procedura.
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E' inoltre previsto il pagamento di un contributo forfettario per le somme dovute dal
datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, la cui determinazione e le
relative modalità di acquisizione sono stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro
dell'interno ed il Ministro delle politiche agricole e forestali (art. 103, comma 7 d.l. n. 24/2020).
Esso però riguarderà soltanto il datore di lavoro che presenta istanza che denunci un rapporto
di lavoro già in essere e per il momento il decreto ministeriale non è stato ancora emanato.
A proposito del documento di riconoscimento del lavoratore, la circolare del
Dipartimento delle libertà civili del 30.5.2020 chiarisce che i documenti di identità dovranno
essere esibiti al SUI al momento della convocazione. La circolare stessa chiarisce che - per
quanto concerne il lavoratore straniero - se nell’istanza è stato indicato un documento scaduto,
o se sia scaduto nelle more della procedura, deve comunque essere esibita la copia. In caso di
mancanza di documento di riconoscimento, possono essere esibiti documenti equipollenti
quali, a titolo esemplificativo:
a) lasciapassare comunitario;
b) lasciapassare frontiera;
c) titolo di viaggio per stranieri;
d) titolo di viaggio per apolidi;
e) titolo di viaggio per rifugiati politici;
f) attestazione di identità rilasciata dalla Rappresentanza Diplomatica in Italia del Paese di
origine.
Può essere indicato pure il permesso di soggiorno scaduto, però al momento della
convocazione occorre un documento d’identità valido.
Ai sensi della Circolare del Dipartimento per le libertà civili del 30.5.2020 restano validi i
protocolli d’intesa già sottoscritti con le associazioni di categoria, le organizzazione sindacali, i
patronati che vorranno fornire assistenza gratuita per la compilazione e l’inoltro delle domande.
Nelle more della definizione dei procedimenti, la presentazione delle istanze di cui all’art. 103,
co. 1 e 2, D.L. 34/2020, consente lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma esclusivamente alle
dipendenze del datore di lavoro che ha presentato l’istanza di assunzione ex novo: consente, ma
non obbliga, il che potrebbe comportare che il titolare di altro permesso di soggiorno che
abilita all’esercizio di attività lavorativa e che effettivamente stia lavorando in un settore
differente da quelli previsti al comma 3 della stessa disposizione (come per esempio il titolare di
permesso di soggiorno per richiesta asilo) possa continuare il rapporto di lavoro in atto, fino
alla stipula del contratto di soggiorno.
La limitazione prevista dal legislatore è, comunque, particolarmente insidiosa e si confida che
venga modificata in sede di conversione. Nell’ambito del lavoro in ambito agricolo, ad esempio,
la disposizione è assolutamente impropria, in quanto è particolarmente difficile immaginare che,
nell’arco di tempo volto alla definizione del procedimento (presumibilmente qualche mese) il
lavoratore debba essere vincolato sempre e solo ad un datore di lavoro.
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Ovviamente, tale considerazione non vale per le ipotesi di emersione dei rapporti di lavoro
irregolari che sono, come abbiamo visto, limitati ai tre settori e, soprattutto, presuppongono
che il rapporto di lavoro sia in corso al momento della presentazione della domanda.
Nel caso di cessazione del rapporto di lavoro (art. 103, co. 4, d.l. 34/2020), successivamente
alla presentazione dell’istanza da parte del datore di lavoro ed anche nel caso di contratto a
carattere stagionale, il lavoratore straniero può compilare e presentare nel Centro per l’impiego
della zona in cui abita, la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro così da vedersi
riconosciuto lo stato di disoccupazione e ricevere un permesso di soggiorno per attesa
occupazione “per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione
di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore” (art. 22, co. 11, d.lgs.
286/1998).
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12.2) Presentazione delle istanze da parte del cittadino straniero presso la
questura per il permesso di soggiorno temporaneo
E’ l’ipotesi di cui all’art. 103, co. 2, D.L. 34/2020, definita come la domanda degli stranieri già
presenti, con permesso di soggiorno scaduto dal 31.10.2020.
L’art. 3, D.M. 27.5.2020 prevede che l’istanza di permesso di soggiorno semestrale (per “ricerca
lavoro” in uno dei tre settori lavorativi) debba essere avanzata dallo straniero alla questura della
provincia in cui dimora nel lasso temporale 1^ giugno - 15 luglio inoltrando l’apposito modulo
tramite gli uffici - sportello del gestore esterno.
Ai sensi dell’art. 7 D.M. 27.5.2020 l’istanza deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) copia del passaporto o di altro documento equipollente ovvero dell’attestazione di identità
rilasciata dalla rappresentanza diplomatica del Paese di appartenenza;
b) copia del permesso di soggiorno scaduto ovvero della denuncia di smarrimento/furto
recante l’indicazione della data di scadenza del permesso di soggiorno smarrito o rubato;
c) l’indicazione del codice fiscale;
d) la documentazione idonea a comprovare di avere svolto attività lavorativa in uno dei tre
settori in un periodo antecedente al 31.10.2019 (senza indicazione di limiti temporali a
ritroso);
e) la documentazione attestante la dimora (es. dichiarazione di ospitalità, non l’eventuale
contratto di locazione perché la dazione di alloggio allo straniero privo di permesso di
soggiorno a titolo oneroso costituisce reato ex art. 12, co. 5 bis, T.U.);
f) la ricevuta del pagamento di 130 € (importo del contributo forfettario a fondo perduto per
questa tipologia di regolarizzazione);
g) la marca da bollo di 16 €.
Quanto alla dimostrazione di avere svolto attività lavorativa in uno o più dei tre settori di cui s’è
detto, in un periodo antecedente al 31.10.2019, occorre allegare all’istanza, a pena di
inammissibilità della stessa:
a) la certificazione rilasciata dal Centro per l’impiego,
ovvero una della seguente documentazione ritenuta idonea:
b) contratto di lavoro, cedolino paga, estratto conto previdenziale, modello Unilav di
assunzione, certificazione unica, stampa di estratto conto da cui risulti l’accreditamento della
retribuzione, fotocopia di assegno bancario utilizzato per il pagamento della retribuzione,
quietanze cartacee ed altri. E, infine, “qualsiasi corrispondenza cartacea intercorsa tra le parti durante il
rapporto di lavoro da cui possono ricavarsi gli elementi identificativi delle parti necessari al riscontro dell’attività
lavorativa”.
Si segnala, inoltre, che la normativa non prevede alcun limite di durata della pregressa
attività lavorativa (quindi deve ritenersi idonea anche se svolta per un periodo di tempo
breve), né, si ribadisce, alcun limite temporale, sicché è idonea anche se svolta molto tempo
addietro e svincolata dalla titolarità del permesso di soggiorno scaduto dal 31.10.2019.
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Il testo dell’art. 103, d.l. 34/2020, così come le specificazioni contenute nel D.M. 27.5.2020
(art. 7) in ordine alla prova di avere svolto attività lavorativa in uno o più dei tre settori di cui s’è
detto, in un periodo antecedente al 31.10.2019, non pare stabilire a pena di inammissibilità
dell’istanza che la prova debba riguardare un rapporto di lavoro regolare, per quanto in questo
caso ovviamente la documentazione utile è molto più semplicemente reperibile anche presso gli
uffici pubblici (Inps, centri per l’impiego, etc.). Quanto alla possibilità che il pregresso lavoro sia
anche stato irregolare, ciò si evince da diverse considerazioni: da un lato è evidente che la
documentazione di cui al D.M. 27.5.2020 non ha carattere tassativo, d’altro lato, proprio il
riferimento a “qualsiasi corrispondenza cartacea intercorsa tra le parti durante il rapporto di lavoro da cui
possono ricavarsi gli elementi identificativi delle parti necessari al riscontro dell’attività lavorativa (es.
comunicazioni di variazioni dell'orario di lavoro, richieste di ferie o permessi o assenze a qualsiasi titolo
trasmesse al datore di lavoro, contestazioni disciplinari, applicazione di istituti contrattuali, ecc.)” o anche la
“stampa dell’estratto conto bancario o postale dal quale risulti l'accredito del pagamento della retribuzione ;
fotocopia di assegno bancario emesso per corrispondere la retribuzione; quietanze cartacee relative al pagamento
di emolumenti attinenti il rapporto di lavoro” fanno presumere che la procedura possa essere
utilmente iniziata anche sulla base della denuncia di un rapporto di lavoro non dichiarato dal
datore di lavoro alle competenti autorità amministrative. L’attività pregressa nei tre settori
indicati, infatti, deve essere “riscontrata” da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro per il
tramite dei servizi ed organi ispettivi. I quali hanno in primo luogo la funzione di contrastare i
fenomeni del lavoro nero, del caporalato, dell’interposizione illecita di manodopera e della
proliferazione di altre specifiche forme di sfruttamento che si traducono in fattispecie di
dumping connesse all’utilizzo, a scopo elusivo, degli istituti previsti dalla vigente normativa in
materia lavoristica. D’altronde una diversa lettura, volta a distinguere tra lavoro regolare e
irregolare all’interno di una procedura che è anche di emersione del lavoro irregolare,
sembrerebbe di difficile tenuta costituzionale. In questo caso, dunque, potrebbe costituire
prova documentale anche la denuncia sporta allo stesso Ispettorato, per il tramite dei servizi
territoriali, del pregresso lavoro irregolare (meglio se corredata da una lista di informatori) o il
ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato avanti al giudice del lavoro.
Si può ritenere, dunque, ammissibile l’istanza accompagnata da prova o da seri principi di prova
di avere svolto attività di lavoro anche “in nero”.
A differenza dell’inoltro delle domande di regolarizzazione/emersione di cui all’art. 103, co. 1,
D.L. 34/2020, nel caso ora in esame è richiesta l’allegazione fin da subito della copia del
passaporto o dell’attestazione di identità rilasciata dalla rappresentanza diplomatica del
Paese di appartenenza.
All’atto della presentazione della richiesta di questa peculiare tipologia di permesso di soggiorno
semestrale allo straniero è rilasciata un’attestazione - una sorta di ricevuta di avvenuta
presentazione - che gli consente di soggiornare legalmente in Italia, di svolgere lavoro
subordinato in uno dei tre settori, di chiedere la conversione del permesso di soggiorno
semestrale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato (ovviamente limitato ai
consueti tre ambiti lavorativi).
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In base all’art. 12, co. 2 D.M. 27.5.2020 all’atto della presentazione della richiesta,
l’operatore dell'Ufficio Sportello provvede a:
a) identificare lo straniero tramite passaporto o documento equipollente ovvero
attestazione di identità rilasciata dalla rappresentanza diplomatica;
b) verificare la presenza della documentazione di cui all'art. 7;
c) verificare la presenza della firma sull’istanza e la completa compilazione dei campi sulla
busta;
d) accettare l'istanza e ad effettuare il controllo visivo della documentazione, compresa
quella riguardante il pagamento del contributo forfettario di cui all'art. 8, comma 2 e della
marca da bollo;
e) consegnare al richiedente l'attestazione di presentazione dell'istanza, provvista di
elementi di sicurezza; la suddetta ricevuta riporta gli estremi di identificazione dello straniero
(cognome e nome, indirizzo), gli oneri del servizio e gli elementi per l’accesso al portale
dedicato (user id: numero ologramma, password: numero assicurata). Il rilascio di tale
attestazione è utile ai fini di quanto previsto dall’art. 103, co. 16, D.L. 34/2020.
Lo straniero, all'atto della consegna della ricevuta, provvede al pagamento degli oneri del
servizio (30 Euro).
Nel portale dedicato sarà registrata la data di accettazione ed il numero di assicurata relativi
all'istanza presentata al fine di consentire allo straniero di verificare lo stato della propria
pratica e la data di convocazione utilizzando come chiavi di ricerca il Codice assicurata ed il
Codice utente.
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13) Il procedimento
13.1) Il procedimento presso lo Sportello unico per l’immigrazione
Ai sensi dell’art. 103, co. 15, D.L. 34/2020, lo SUI, ricevuta la domanda tramite il sistema
informatico attestato presso il Dipartimento libertà civili del Ministero dell’interno, verifica
l’ammissibilità delle domande di cui al comma 1 (assunzione ex novo ed emersione), acquisisce il
parere della questura circa l’insussistenza dei motivi ostativi, e il parere dell’Ispettorato del
lavoro circa la capacità economica del datore di lavoro e la congruità delle condizioni di lavoro
applicate, dopodiché convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno, per la
comunicazione obbligatoria di assunzione e la richiesta di permesso di soggiorno per motivi di
lavoro subordinato alla questura.
Si ricorda che in base all’art. 5 bis d. lgs. n. 286/1998 la stipula del contratto di soggiorno
comporta per il datore di lavoro l’obbligo di mettere a disposizione un alloggio idoneo,
certificato come tale dal Comune, anche se il datore di lavoro può trattenere fino ad un terzo
dello stipendio del lavoratore. Peraltro circolari ministeriali consentono di evitare al datore di
lavoro di dimostrare tale disponibilità allorché lo straniero già disponga di un alloggio idoneo.
La norma specifica che la mancata presentazione delle parti comporta l’archiviazione del
procedimento. Al riguardo occorre segnalare il caso, già verificatosi nel corso delle precedenti
emersioni/regolarizzazioni, in cui il datore di lavoro, dopo aver presentato l’istanza ed avere,
nelle more del procedimento, usufruito della prestazione lavorativa del lavoratore dipendente,
immotivatamente non si presenti per la firma del contratto di soggiorno presso lo SUI
interrompendo anche il rapporto di lavoro. In questo caso è evidente come un simile
comportamento non possa andare in detrimento dei diritti del lavoratore straniero, per cui sarà
possibile ricorrere in via d’urgenza al Tribunale in funzione di giudice del lavoro per sentire
dichiarare la immotivata assenza datoriale ed il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi
dell’art. 22, co. 11, d.lgs. 286/98 in favore della persona straniera.
La Circolare 30.5.2020 del Dipartimento di PS chiarisce che le questura, consultando la banca
dati SDI circa l’avvenuto fotosegnalemento prima dell’8.3.2020, in assenza di motivi ostativi
precisa che la risposta è stata effettuata sulla base della dichiarazione la cd. “anagrafica” fornita
dallo straniero, perché nella fase endoprocedimentale non si effettuano i rilievi
fotodattiloscopici, che, evidentemente, saranno effettuati in occasione del rilascio del permesso
di soggiorno.
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13.2) Il procedimento presso la questura
Ai sensi dell’art. 103, co. 16, D.L. 34/2020, la richiesta di rilascio di permesso di soggiorno
temporaneo di sei mesi è presentata presso la questura della provincia in cui lo straniero dimora
- tra il 1^giugno e il 15 luglio - esclusivamente tramite kit postale contenente la documentazione
richiesta e sopra richiamata. Ai sensi della Circolare 30.5.2020 del Dipartimento di PS l’ufficio
postale consegna la lettera di convocazione dello straniero in questura per il fotosegnalamento e
la ricevuta che consente il soggiorno legale in Italia e lo svolgimento di attività lavorativa nei tre
settori indicati; consente altresì “l’attraversamento delle frontiere esterne nazionali”. Tale ultima
precisazione non pare di immediata percezione sia perché lo straniero non può certo fare
rientro nel suo Paese di origine per il recupero del passaporto, posto che già deve indicarlo
nell’istanza a pena di inammissibilità della stessa, sia perchè non si vede coma possa fare rientro
una volta uscito dall’Italia. Su questo punto sono auspicabili interventi chiarificatori.
In base all’art. 12, co. 5 D.M. 27.5.2020 la Questura verifica l'ammissibilità dell'istanza e
accerta l'insussistenza delle cause di rigetto ovvero di motivi ostativi all'accoglimento della
stessa.
La documentazione dei pregressi rapporti di lavoro è verificata dal competente Ispettorato
nazionale del lavoro attraverso procedure tecnico-organizzative di collaborazione
amministrativa tese alla semplificazione ed alla velocizzazione dell'attività
endoprocedimentale anche attraverso la cooperazione applicativa tra le banche dati
attestate presso il Ministero dell'interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Ai fini dell'espletamento delle verifiche sull'insussistenza dei motivi ostativi
all'accoglimento delle istanze, le Questure consultano le Banche dati nazionali, europee ed
internazionali, anche attraverso le competenti articolazioni centrali del Dipartimento della
pubblica sicurezza.
L’art. 12, co. 8 D.M. 27.5.2020 prevede che ai fini della conversione del permesso di
soggiorno, restano ferme le disposizioni relative agli oneri economici a carico del
richiedente e si applicano, ove compatibili, le previsioni di cui al d. lgs.n. 286/1998 e successive
modificazioni ed il relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394
e successive modificazioni.
L’art. 12, co. 9 D.M. 27.5.2020 prevede che all'istanza di conversione deve essere allegata
l'attestazione dell'Ispettorato territoriale del lavoro, competente in relazione al luogo di
svolgimento della prestazione lavorativa, di corrispondenza del contratto di lavoro
subordinato ovvero della documentazione retributiva e previdenziale ai settori di attività
lavorative per i quali la procedura è consentita e le modalità con cui richiedere tale attestazione
sono definite con apposita circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
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14) Il rilascio del permesso di soggiorno
All’esito positivo del procedimento avanti lo Sportello unico concernente l’istanza di emersione
presentata ai sensi del comma 1 dal datore di lavoro, lo straniero riceve un kit postale
precompilato per il deposito presso gli uffici postale dedicati, segue la convocazione in questura
e, al termine di controlli di rito (fotosegnalamento e verifica della mancata insorgenza di cause
ostative nelle more della procedura) gli è rilasciato il permesso di soggiorno elettronico per
motivi di lavoro subordinato di durata pari a quella del contratto di soggiorno, ovviamente
rinnovabile secondo e ordinarie previsioni di legge.
Il permesso di soggiorno temporaneo della durata di sei mesi decorrente dal momento della
presentazione dell’istanza presentata ai sensi del comma 2 (quindi, al massimo dal 15 luglio,
termine ultimo di presentazione dell’istanza) con scadenza massima al 15 gennaio 2021, in
formato cartaceo è rilasciato dalla questura. Entro il termine semestrale di durata lo straniero
può chiedere la conversione del permesso semestrale in permesso per motivi di lavoro tramite
gli uffici postali esibendo un contratto di lavoro nei tre settori lavorativi indicati.
In assenza, allo stato, di ulteriori indicazioni, il rilascio del permesso di soggiorno previsto
dall’art. 103, D.L. 34/2020, soggiace alle ordinarie prescrizioni previste dall’art. 5, d.lgs. 286/98
e dall’art. 9, d.P.R. 394/99 che, al comma 3, lett. a) prevede l’esibizione del passaporto o altro
documento equipollente da cui risultino la nazionalità, la data e il luogo di nascita
dell’interessato, il che riduce fortemente la possibilità di accesso a questa procedura da parte dei
richiedenti protezione internazionale che siano privi di passaporto o di documento
equipollente, quantomeno fino a nuove modifiche normative che auspicabilmente potranno
essere approvate in sede di conversione del decreto legge in esame.
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