lunedì 22 settembre 2025

I tempi dilatati nelle procedure ordinarie di protezione internazionale alla luce della sentenza Zimir (C-662/23) della Corte di Giustizia UE

 La recente sentenza Zimir (C-662/23) della Corte di Giustizia dell’Unione Europea offre uno spunto di grande interesse per chi si confronta ogni giorno con i tempi dilatati delle procedure ordinarie di protezione internazionale. La Corte è stata chiamata a interpretare l’articolo 31 della Direttiva 2013/32/UE, che stabilisce un termine di sei mesi per decidere una domanda di asilo, con la possibilità di proroga solo in circostanze eccezionali. I giudici hanno chiarito che l’estensione di questi termini non è automatica e non può essere giustificata da motivazioni generiche come arretrati cronici o carenze strutturali dell’amministrazione. Ciò che la direttiva consente è una proroga limitata, fino a quindici mesi complessivi, solo quando vi sia un afflusso improvviso e simultaneo di domande o altri elementi straordinari legati al caso individuale.

Questa precisazione è rilevante perché mette in discussione la normalizzazione dei ritardi che caratterizzano molte procedure in Italia. È frequente che dalla formalizzazione della domanda alla convocazione per l’audizione davanti alla Commissione territoriale trascorrano due o tre anni. In questo arco di tempo il richiedente rimane in una condizione sospesa, con un permesso provvisorio che gli consente sì di soggiornare e lavorare, ma senza la stabilità giuridica e sociale che una decisione tempestiva dovrebbe garantire. L’attesa prolungata incide sulla possibilità di trovare un’occupazione stabile, di consolidare rapporti familiari e di progettare il proprio futuro, trasformando il ritardo procedurale in un vero e proprio pregiudizio esistenziale.

La sentenza europea offre quindi uno strumento di difesa concreto: non si tratta soltanto di contestare la lentezza amministrativa, ma di denunciare la violazione di un diritto procedurale sancito dal diritto dell’Unione. L’amministrazione non può più invocare come giustificazione la mancanza di personale o l’accumulo di arretrati, perché tali elementi rientrano nella normale gestione e non nelle circostanze eccezionali previste dalla Direttiva. Per i difensori questo significa poter sostenere davanti ai giudici che un procedimento che si protrae per anni non è conforme al diritto europeo e che i richiedenti hanno diritto a una decisione entro tempi ragionevoli.

In un contesto come quello italiano, dove i ritardi delle Commissioni territoriali rappresentano una costante, l’arresto Zimir acquista un valore pratico immediato. Esso ricorda che la dilatazione dei tempi non è una variabile neutra, ma una violazione che priva il richiedente di garanzie fondamentali. Richiamare questa giurisprudenza nei procedimenti nazionali può diventare decisivo per sollecitare decisioni più rapide e per rafforzare le argomentazioni nei ricorsi contro provvedimenti emessi dopo attese abnormi. La Corte di Giustizia, in definitiva, restituisce centralità al principio di effettività, riaffermando che l’asilo non è solo un diritto sostanziale, ma anche una procedura che deve svolgersi entro termini certi e ragionevoli.

✍️ Avv. Fabio Loscerbo

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