domenica 14 dicembre 2025

Condanne per stupefacenti e conversione del permesso di soggiorno per lavoro: il perimetro del diniego vincolato

 Condanne per stupefacenti e conversione del permesso di soggiorno per lavoro: il perimetro del diniego vincolato

La sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione Prima, numero 01561 del 2025, depositata nel dicembre 2025, offre l’occasione per tornare su un tema centrale e tutt’altro che pacifico nel diritto dell’immigrazione: l’incidenza delle condanne penali in materia di stupefacenti sulla possibilità di ottenere il rinnovo o la conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

Il provvedimento, pubblicato integralmente e consultabile al seguente link
https://www.calameo.com/books/0080797757982a2aef314
si colloca nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ma ne chiarisce con particolare nettezza i confini applicativi, distinguendo tra ipotesi di automatismo ostativo e residui spazi di valutazione discrezionale in capo all’amministrazione.

La controversia trae origine dal diniego opposto dalla Questura a una istanza di rinnovo e conversione di un permesso di soggiorno per motivi familiari in permesso per lavoro subordinato. Il diniego era fondato sull’esistenza di una condanna definitiva per detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio, pronunciata ai sensi dell’articolo 73, comma 1-bis, del DPR 309 del 90. La difesa aveva contestato l’automatismo applicato dall’amministrazione, invocando una valutazione complessiva della situazione personale, lavorativa e sociale dell’interessato.

Il TAR chiarisce preliminarmente il corretto inquadramento normativo della fattispecie, escludendo l’applicabilità dell’articolo 9 del Testo Unico Immigrazione, relativo al permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e riconducendo il caso agli articoli 4, comma 3, e 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286. In tale ambito, la condanna per reati inerenti gli stupefacenti, nelle forme più gravi previste dalla legge, integra una causa ostativa automatica al rilascio e alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro.

La sentenza ribadisce che, in presenza di tali condanne, non assumono rilievo né la sospensione condizionale della pena, né la concessione di attenuanti, né il tempo trascorso dalla commissione del fatto. L’amministrazione, in questi casi, non dispone di un potere valutativo pieno, ma è vincolata al diniego del titolo di soggiorno richiesto.

Un passaggio centrale della decisione riguarda tuttavia l’unica eccezione a tale automatismo: la presenza di legami familiari effettivi e attuali con soggetti regolarmente residenti in Italia. Solo in presenza di una reale unità familiare, dimostrata in modo concreto e non meramente formale, l’articolo 5, comma 5, del Testo Unico Immigrazione impone all’amministrazione una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico alla sicurezza e la tutela della vita familiare, anche alla luce dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nel caso esaminato, il TAR ritiene che tale presupposto non fosse integrato, evidenziando l’assenza di una convivenza effettiva e la mancata dimostrazione di un nucleo familiare attuale. Ne deriva, coerentemente, la conferma del carattere vincolato del diniego.

La decisione si presta a una riflessione più ampia sul rapporto tra integrazione sociale e automatismi normativi nel diritto dell’immigrazione. Molti stranieri confidano nel fatto che una condanna ormai “scontata” o risalente nel tempo non incida più sul loro percorso amministrativo. La sentenza in commento dimostra invece come, almeno in materia di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, alcune condanne continuino a operare come barriere giuridiche difficilmente superabili, indipendentemente dal successivo inserimento lavorativo o sociale.

In questo senso, il provvedimento del TAR Emilia-Romagna rappresenta un punto fermo sullo stato attuale del diritto vivente, offrendo agli operatori del settore un quadro chiaro dei limiti entro i quali può essere utilmente invocata la valutazione discrezionale dell’amministrazione e, al contempo, dei casi in cui tale valutazione risulta giuridicamente preclusa.


Podcast collegati alla sentenza


Avv. Fabio Loscerbo

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