Il tema della criminalizzazione della solidarietà continua a rappresentare uno dei nodi più delicati nel diritto dell’immigrazione. Il reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare, previsto in Italia dall’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, ha spesso sollevato dubbi di compatibilità con i principi dell’Unione Europea, soprattutto quando a essere incriminate sono condotte ispirate a motivi umanitari o legati a vincoli familiari.
Un passaggio decisivo in questa direzione è rappresentato dal rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 17 luglio 2023. Il giudice felsineo, investito del processo a carico di una cittadina straniera che aveva accompagnato due minori utilizzando documenti falsi, sollevava il dubbio circa la compatibilità del quadro normativo europeo e nazionale con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, in particolare con il diritto d’asilo, la tutela della vita familiare e il principio di proporzionalità.
La questione è approdata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con la sentenza C-460/23, Kinsa, del 3 giugno 2025, ha offerto un chiarimento di sistema. Secondo la Corte:
Il diritto di accompagnare un minore affidato o sotto responsabilità diretta non può essere criminalizzato. L’ingresso compiuto in tali circostanze non integra il reato di favoreggiamento, poiché tutelato dal principio superiore della protezione dell’infanzia e del nucleo familiare.
La solidarietà umanitaria non è un crimine. La Corte ha rimarcato che le direttive europee in materia (Direttiva 2002/90/CE e Decisione Quadro 2002/946/GAI) non obbligano gli Stati membri a punire chi agisce senza fine di lucro per assicurare protezione a persone vulnerabili.
Il principio di legalità penale impone chiarezza e prevedibilità. Norme penali troppo generiche o applicate senza distinzione rischiano di comprimere diritti fondamentali e devono, pertanto, essere interpretate restrittivamente.
La portata di questa decisione è duplice. Sul piano europeo, essa segna un punto di svolta contro il cosiddetto délit de solidarité, ossia la criminalizzazione di atti ispirati a solidarietà o doveri familiari. Sul piano nazionale, essa vincola i giudici italiani a leggere l’art. 12 T.U. Immigrazione in modo conforme al diritto dell’Unione, escludendo la punibilità in tutti i casi in cui l’assistenza all’ingresso sia giustificata da ragioni umanitarie o familiari tutelate dalla Carta.
La vicenda Kinsa mostra anche l’importanza del ruolo dei giudici nazionali. Il Tribunale di Bologna, sollevando il rinvio pregiudiziale, ha posto al centro dell’attenzione europea la tensione tra repressione penale e tutela dei diritti fondamentali. Il dialogo tra corti ha prodotto un risultato chiaro: il diritto di asilo e la protezione dei minori costituiscono valori che non possono essere compressi dal diritto penale.
In conclusione, il caso Kinsa rafforza l’idea che il diritto europeo funge da argine contro interpretazioni punitive sproporzionate e ricorda che la solidarietà, soprattutto quando esercitata in nome della protezione dei più vulnerabili, non può essere assimilata a condotte criminali.
Avv. Fabio Loscerbo
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