La protezione complementare tra tipizzazione normativa e valutazione giudiziale del caso concreto
La ricostruzione secondo cui l’eliminazione del permesso per motivi umanitari prima, e la successiva rimodulazione del permesso per protezione speciale poi, avrebbero determinato una restrizione dell’area di tutela riconducibile al diritto di asilo non è condivisibile sotto il profilo sistematico. Tale impostazione muove da una lettura meramente nominalistica delle categorie di soggiorno, confondendo il piano delle figure amministrative tipizzate con quello, ben più ampio e sovraordinato, della protezione complementare quale forma di attuazione del diritto di asilo costituzionale e convenzionale.
Occorre, al contrario, distinguere nettamente tra il genus della protezione complementare e le species che, nel tempo, il legislatore ordinario ha introdotto per darvi attuazione. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, prima, e il permesso per protezione speciale, poi, non hanno mai esaurito il contenuto del diritto di asilo, ma ne hanno rappresentato esclusivamente modalità contingenti di concretizzazione amministrativa.
In questa prospettiva, l’intervento normativo non va letto in termini di progressiva “chiusura” del sistema, bensì come un mutamento della tecnica di regolazione: dal tentativo di tipizzare le ipotesi di tutela a una progressiva destipizzazione, che ha avuto come effetto – anche se non sempre dichiarato – quello di restituire centralità alla valutazione giudiziale del caso concreto.
La fase della tipizzazione: l’art. 19 TUI nella formulazione post-2020
La formulazione dell’art. 19 del d.lgs. 286/1998 introdotta con la riforma del 2020 costituisce un esempio paradigmatico di norma a struttura semi-chiusa. Essa richiedeva al giudice l’accertamento di “fondati motivi di ritenere” che l’allontanamento dal territorio nazionale comportasse una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, prevedendo contestualmente un espresso bilanciamento con esigenze di sicurezza nazionale, ordine e sicurezza pubblica, nonché un richiamo formale alle fonti sovranazionali di riferimento.
Si trattava, sotto il profilo tecnico, di una fattispecie articolata, che delimitava il perimetro dello scrutinio giudiziale attraverso una griglia di parametri predeterminati. Il giudice era chiamato a verificare la ricorrenza di quegli specifici presupposti, operando all’interno di un quadro normativo che, pur ampio, rimaneva strutturato e guidato dal legislatore.
In tale assetto, la tutela non era rimessa a una valutazione libera del diritto di asilo in quanto tale, ma passava attraverso il filtro di una specifica figura di permesso di soggiorno, con il rischio – non teorico – che la mancanza di uno dei parametri espressamente indicati potesse condurre a un esito negativo, anche in presenza di situazioni di vulnerabilità costituzionalmente rilevanti.
La destipizzazione e il recupero della centralità del giudice
La successiva eliminazione di quella parte dell’art. 19 non ha determinato la scomparsa della protezione sostanziale, ma la rimozione della sua tipizzazione legislativa. Venendo meno l’elenco dei presupposti e la struttura analitica della fattispecie, il giudice non è più chiamato a verificare l’inquadrabilità del caso in una specifica figura amministrativa, bensì a valutare direttamente la compatibilità dell’allontanamento con il complesso degli obblighi costituzionali e convenzionali gravanti sullo Stato.
Si assiste, in tal modo, a un passaggio da una tutela “mediata” dalla norma tipizzante a una tutela “diretta”, ancorata immediatamente ai principi del non-refoulement, alla salvaguardia dei diritti fondamentali e al contenuto essenziale del diritto di asilo di cui all’art. 10, comma 3, Cost.
Contrariamente a quanto spesso sostenuto, questa evoluzione non comporta una restrizione della tutela, ma un ampliamento dello spazio valutativo del giudice, il quale non è più vincolato a una fattispecie chiusa o semi-chiusa, ma può – e deve – procedere a una valutazione individualizzata, complessiva e concreta della situazione del singolo.
Il parallelismo con l’abolizione del permesso per motivi umanitari
Il medesimo schema si era già manifestato con l’eliminazione del permesso per motivi umanitari. Anche in quel caso, la soppressione di una specifica categoria di soggiorno era stata letta, in una prima fase, come una drastica compressione del diritto di asilo. In realtà, l’effetto sistemico è stato quello di spostare il fulcro della tutela dal nomen iuris del permesso alla verifica sostanziale delle condizioni di vulnerabilità.
Privato di una etichetta normativa precostituita, il giudice è stato chiamato a interrogarsi non più sulla riconducibilità del caso a una figura tipica, ma sulla legittimità costituzionale e convenzionale dell’allontanamento in concreto. Ancora una volta, la caduta della species non ha comportato l’estinzione del genus, ma ha reso più evidente la sua autonomia concettuale.
Protezione complementare come categoria aperta
La protezione complementare si configura, pertanto, come un’area di tutela strutturalmente aperta, che non può essere compressa o eliminata per via terminologica. Essa non coincide con una singola forma di permesso di soggiorno, ma rappresenta il contenitore giuridico entro cui si collocano tutte le ipotesi in cui l’allontanamento dello straniero risulterebbe incompatibile con i diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento.
In questa prospettiva, il venir meno di una tipizzazione normativa non riduce la protezione, ma ne riafferma la natura primaria e sovraordinata, sottraendola al rischio di una eccessiva amministrativizzazione e riaffidandola alla funzione propria del giudice quale garante ultimo dei diritti.
Considerazioni conclusive
La tesi secondo cui il Decreto Salvini e le successive riforme avrebbero progressivamente ristretto l’area del diritto di asilo si fonda, dunque, su una lettura formalistica e non sistematica. Il legislatore ha inciso sulle modalità di attuazione amministrativa, non sull’esistenza del diritto. Anzi, la progressiva destipizzazione ha finito per rafforzare il ruolo del giudice e per rendere ancora più evidente che la protezione complementare non è una concessione discrezionale, ma un obbligo giuridico che discende direttamente dalle fonti supreme dell’ordinamento.
In definitiva, il permesso per motivi umanitari prima e il permesso per protezione speciale poi devono essere correttamente intesi come specie contingenti di una categoria permanente. Quando le specie mutano o vengono eliminate, il diritto resta, e continua a imporsi all’interprete come parametro imprescindibile di legittimità dell’azione amministrativa.
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