Il domicilio nel procedimento di protezione: perché la Commissione non può ignorare l’elezione presso il difensore
Nel procedimento per il riconoscimento della protezione, il tema delle notificazioni è diventato, negli ultimi anni, un terreno di frizione costante tra Commissioni territoriali e difensori. La questione è nota: le Commissioni ritengono che gli atti debbano essere notificati esclusivamente al centro di accoglienza o all’ultimo domicilio fisico del richiedente, escludendo qualsiasi effetto dell’elezione di domicilio presso il legale.
Questa posizione, tuttavia, non regge ad un’analisi rigorosa delle norme vigenti. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 – nella sua formulazione più recente – impone al richiedente di comunicare ogni mutamento di residenza o domicilio e stabilisce che, se non accolto in strutture, gli atti vadano notificati presso “l’ultimo domicilio comunicato” dal richiedente. Ed è proprio qui che si colloca il nodo interpretativo.
Il legislatore non utilizza il termine residenza. Non utilizza il termine dimora. Non impone un domicilio fisico. Indica, invece, in modo chiaro e inequivocabile il domicilio.
Un termine che, nel diritto italiano, ha un significato tecnico preciso, definito dall’art. 43 del codice civile come il luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Ed è un concetto che il nostro ordinamento consente di plasmare mediante elezione di domicilio, ai sensi dell’art. 47 c.c., proprio per determinati affari, procedimenti o rapporti giuridici.
Nel procedimento amministrativo, salvo divieti espressi, l’elezione di domicilio resta pienamente valida e opponibile alla Pubblica Amministrazione. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 non contiene alcun divieto né alcuna limitazione: non dice che la notifica può avvenire solo al domicilio fisico; non afferma che il domicilio debba coincidere con il luogo in cui la persona vive; non esclude la possibilità che il domicilio dichiarato sia lo studio del difensore.
La norma, semplicemente, disciplina la validità della notifica in assenza di cooperazione del richiedente: indica una sede “minima” dove l’atto è comunque efficace. Ma non impedisce che l’interessato possa stabilire un domicilio diverso e più sicuro per esercitare il proprio diritto di difesa.
L’elezione di domicilio presso il difensore, dunque, rientra pienamente nel concetto giuridico di “domicilio comunicato” previsto dalla legge. È una scelta che il richiedente può compiere legittimamente, e che la Commissione deve rispettare.
Non è una forzatura interpretativa: è l’applicazione lineare del diritto civile e amministrativo. In nessun punto la normativa speciale in materia di protezione internazionale ridefinisce o restringe la nozione di domicilio. Tantomeno può farlo un sistema informatico. Una limitazione tecnica dell’applicativo SUA non è fonte di diritto, non può derogare al codice civile e non può annullare una dichiarazione giuridicamente efficace.
Ciò che conta per la legge è che il richiedente comunichi il domicilio. Ed è esattamente ciò che avviene quando il richiedente elegge domicilio presso il proprio avvocato per il procedimento in corso. In quel momento, a tutti gli effetti, la Commissione è a conoscenza del domicilio comunicato ai sensi dell’art. 11. Ignorarla, preferendo un indirizzo anagrafico o un luogo di dimora, significa svuotare di contenuto una facoltà prevista dalla legge e, soprattutto, compromettere l’effettività del diritto di difesa.
Vi è poi un ulteriore profilo: il domicilio eletto presso il difensore non solo è legittimo, ma è anche lo strumento che garantisce in modo più affidabile la conoscenza dell’atto. Le giacenze postali, gli errori di recapito, le situazioni abitative precarie o incerte sono fenomeni tipici nella realtà del richiedente protezione internazionale. Il domicilio presso il legale, invece, assicura certezza, tracciabilità, tempestività e un contatto diretto con chi esercita la difesa tecnica.
In un sistema che ha come fulcro il diritto al contraddittorio e la possibilità di impugnare tempestivamente i provvedimenti, la notifica presso il difensore è spesso l’unica modalità idonea a garantire effettiva conoscenza dell’atto.
Alla luce di tutto ciò, la posizione delle Commissioni territoriali – secondo cui “le notifiche possono avvenire solo presso il centro o presso l’ultimo domicilio fisico” – non trova alcun fondamento normativo. È un’interpretazione amministrativa, non una prescrizione di legge.
Finché il comma 3-bis parla di “domicilio comunicato”, il richiedente mantiene la piena facoltà di eleggerlo presso il difensore. E la Commissione ha il dovere giuridico di rispettarlo.
Avv. Fabio Loscerbo
