mercoledì 29 ottobre 2025

Decreto n. 149/2025 del Tribunale di Firenze: riequilibrio dei ruoli e continuità del Piano PNRR nella sezione immigrazione

 

Decreto n. 149/2025 del Tribunale di Firenze: riequilibrio dei ruoli e continuità del Piano PNRR nella sezione immigrazione

Il Tribunale di Firenze ha adottato in data 21 ottobre 2025 il Decreto n. 149/2025, con cui dispone il riequilibrio e la redistribuzione dei ruoli dei giudici della Quarta Sezione civile, competente in materia di protezione internazionale e immigrazione.
Il provvedimento, firmato dal Presidente del Tribunale, rappresenta un passaggio organizzativo significativo nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in ambito giustizia.

L’intervento si è reso necessario a seguito dell’ingresso di tre nuovi magistrati – le dott.sse Michela Boi, Maria Giulia D’Ettore e Diana Genovese – e mira a riequilibrare il carico di lavoro in una sezione che, nel solo biennio 2023-2024, ha visto iscriversi oltre 3.500 procedimenti ex art. 35-bis del d.lgs. 25/2008, oltre a centinaia di ricorsi in materia di permessi di soggiorno e diritti connessi ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 150/2011.

Il decreto dispone in particolare:

  • la formazione dei ruoli per i nuovi giudici Boi e D’Ettore;

  • la redistribuzione omogenea dei procedimenti pendenti, con assegnazioni progressive dei fascicoli in base alla data di iscrizione e all’assenza di udienze già fissate;

  • la valorizzazione della produttività dei magistrati Castagnini e Sturiale, che hanno garantito alti indici di smaltimento dei procedimenti ex art. 35-bis;

  • l’immediata esecutività del provvedimento ai sensi degli artt. 40 e 41 della circolare tabellare del CSM del 26 giugno 2024, in ragione dell’urgenza di garantire la piena operatività della Sezione e il rispetto dei target del PNRR.

Il decreto, inoltre, esclude dalla redistribuzione i procedimenti riguardanti i diritti di cittadinanza, che saranno assegnati ad altri giudici civili del Tribunale nell’ambito del piano straordinario previsto dall’art. 4 del D.L. n. 117/2025.

L’atto sarà comunicato al Presidente della Corte d’Appello, al Consiglio Giudiziario, al Procuratore della Repubblica di Firenze, all’Ordine degli Avvocati di Firenze, e alla dirigenza amministrativa del settore civile.

Questo intervento tabellare conferma il ruolo del Tribunale di Firenze come uno dei centri giudiziari maggiormente impegnati nella gestione delle controversie in materia di immigrazione e protezione internazionale, non solo per il volume dei procedimenti, ma anche per l’attenzione posta all’equilibrio tra efficienza organizzativa e tutela dei diritti fondamentali.


Avv. Fabio Loscerbo

Il Tribunale di Bologna (R.G. 12832/2024) – Sentenza del 17 ottobre 2025: riconosciuta la protezione speciale a un lavoratore marocchino pienamente integrato in Italia

 Il Tribunale di Bologna (R.G. 12832/2024) – Sentenza del 17 ottobre 2025: riconosciuta la protezione speciale a un lavoratore marocchino pienamente integrato in Italia


Il Tribunale di Bologna, Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, ha accolto il ricorso presentato contro la Questura di Ferrara, riconoscendo il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19 del Testo Unico sull’Immigrazione.

La decisione, pronunciata il 17 ottobre 2025, si fonda su un principio chiaro: l’integrazione sociale, lavorativa e familiare maturata in Italia da oltre dieci anni non può essere annullata da un singolo episodio risalente nel tempo. Il richiedente, da anni residente in Emilia-Romagna, aveva costruito un percorso di vita stabile, lavorando come metalmeccanico, partecipando a corsi di formazione e condividendo con la moglie – titolare di permesso di lungo periodo – un’abitazione acquistata con mutuo congiunto.

Il Tribunale ha valorizzato la costanza lavorativa e l’autonomia economica e abitativa del ricorrente, riconoscendo in tali elementi il consolidamento di una “vita privata e familiare” protetta dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel provvedimento si evidenzia che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato anche dall’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998, può essere limitato solo per motivi di sicurezza nazionale o ordine pubblico.

Pur in presenza di un vecchio precedente penale del 2019, per il quale il ricorrente aveva già beneficiato della sospensione condizionale della pena, il Tribunale ha escluso qualsiasi pericolosità sociale, osservando che negli anni successivi non si erano verificate nuove condanne o procedimenti pendenti.

La sentenza richiama anche i principi affermati dalla Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 24413/2021 e Cass. n. 7861/2022), secondo cui la protezione speciale tutela non solo i legami familiari ma anche quelli lavorativi, affettivi e sociali che rendono unica la vita privata di una persona.

Rilevante anche il passaggio finale: il Tribunale ha confermato che, essendo la domanda presentata prima dell’entrata in vigore del cosiddetto “Decreto Cutro”, resta applicabile la disciplina previgente, la quale prevede che il permesso per protezione speciale abbia durata biennale, sia rinnovabile e convertibile in permesso di lavoro.

Un pronunciamento che riafferma il valore costituzionale dell’integrazione e la funzione equilibratrice della protezione speciale nel sistema italiano, chiamato a bilanciare l’interesse pubblico con i diritti fondamentali della persona.

Avv. Fabio Loscerbo

sabato 25 ottobre 2025

Il diritto alla coesione familiare non può essere negato


 

Il diritto alla coesione familiare non può essere negato

Il diritto alla coesione familiare garantisce ai familiari di cittadini italiani o europei di vivere insieme in Italia, senza che ostacoli burocratici o tecnici possano limitarlo.
È un diritto soggettivo pieno, tutelato dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che lo Stato ha l’obbligo di rendere effettivo.
Anche quando le piattaforme consolari non permettono l’invio della domanda, l’Amministrazione deve riceverla e valutarla.
In caso di silenzio, è possibile rivolgersi al Tribunale di Roma con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per ottenere la fissazione dell’appuntamento e far valere il proprio diritto all’unità familiare.

Come chiedere un visto per coesione familiare con cittadino italiano

 

Come chiedere un visto per coesione familiare con cittadino italiano

(a cura dell’Avv. Fabio Loscerbo)

Il visto per coesione familiare è lo strumento che consente al familiare di un cittadino italiano o dell’Unione Europea di entrare in Italia per vivere stabilmente insieme al proprio congiunto.
Si fonda sull’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e sugli articoli 2, 3, 29 e 31 della Costituzione italiana, che tutelano il diritto all’unità familiare come diritto soggettivo inviolabile.
La disciplina è contenuta nel D.Lgs. 30/2007, che recepisce la direttiva 2004/38/CE.

1. A chi spetta

Il visto per coesione familiare è destinato ai familiari di cittadini italiani o europei che si trovano all’estero e intendono ricongiungersi in Italia.
Oltre al coniuge e ai figli minori, rientrano nella tutela anche gli altri familiari a carico, come genitori, fratelli o sorelle, purché sia dimostrata la dipendenza economica e la relazione affettiva e di sostegno stabile con il cittadino italiano.

2. Come presentare la domanda

La procedura può essere avviata direttamente dal cittadino italiano (o dal suo difensore) mediante istanza scritta di coesione familiare con contestuale richiesta di fissazione di appuntamento per rilascio del visto d’ingresso.
L’istanza deve essere indirizzata all’Ambasciata o Consolato italiano competente nel Paese di residenza del familiare e, per conoscenza, anche alla Prefettura e alla Questura italiane del luogo di residenza del cittadino richiedente.

L’invio può avvenire tramite posta elettronica certificata (PEC), allegando:

  • documento d’identità del cittadino italiano o UE;

  • certificato di residenza e stato di famiglia;

  • atti di nascita e attestati di legame parentale con Apostille;

  • attestazione di carico familiare e condizione di dipendenza economica;

  • prove di sostegno economico continuativo (rimesse, bonifici, dichiarazioni);

  • documentazione sull’idoneità abitativa e la disponibilità di reddito.

3. La prenotazione tramite portale VFS

Molti consolati italiani utilizzano il portale VFS Global per la gestione degli appuntamenti e la pre-verifica dei documenti.
Qualora il sistema non preveda una voce specifica per “altri familiari a carico”, è legittimo inviare la domanda direttamente via PEC, chiedendo che l’ufficio consolare provveda alla presa in carico manuale della richiesta.
La giurisprudenza nazionale ha chiarito che la modalità di presentazione non può mai diventare un ostacolo all’esercizio del diritto, e che l’amministrazione deve comunque istruire e decidere l’istanza in modo espresso e motivato.

4. In caso di silenzio o inerzia

Il mancato riscontro dell’amministrazione consolare o il semplice rinvio a siti informativi non costituiscono provvedimento valido.
Trascorso un tempo ragionevole senza risposta, la persona interessata può proporre ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. al Tribunale ordinario di Roma, unico competente per le controversie che coinvolgono rappresentanze diplomatiche italiane.
Il giudice ordinario, riconoscendo la natura di diritto soggettivo alla vita familiare, può ordinare all’amministrazione di fissare l’appuntamento o consentire la formalizzazione della domanda di visto, anche in via cautelare.

5. Documentazione essenziale

Per rafforzare la richiesta è opportuno predisporre un fascicolo completo che contenga:

  • certificati anagrafici aggiornati;

  • prova della convivenza o dell’assistenza economica continuativa;

  • attestazione dei redditi e della disponibilità abitativa in Italia;

  • dichiarazioni sostitutive dei familiari;

  • ogni elemento che provi la vulnerabilità o la dipendenza economica del richiedente.

6. Il principio giuridico

Il diritto alla coesione familiare non è una concessione amministrativa, ma un diritto soggettivo pienamente tutelato dall’ordinamento.
La pubblica amministrazione è obbligata a rendere effettivo l’esercizio di tale diritto, anche quando la modulistica o le piattaforme informatiche non risultano aggiornate.
L’ingresso per coesione familiare deve quindi essere facilitato e non ostacolato, in attuazione del principio di proporzionalità e della tutela effettiva della vita familiare sancita dalla CEDU e dal diritto dell’Unione Europea.


Avv. Fabio Loscerbo
Studio legale in Bologna – Via Ermete Zacconi 3/A
avv.loscerbo@ordineavvocatibopec.it

domenica 19 ottobre 2025

Il diritto del richiedente protezione internazionale e complementare ad aprire un conto corrente

 

Il diritto del richiedente protezione internazionale e complementare ad aprire un conto corrente

Aprire un conto corrente non è un privilegio, ma un diritto essenziale.
Per i richiedenti protezione internazionale e complementare, rappresenta il primo passo verso una piena inclusione sociale, lavorativa e amministrativa. Eppure, nonostante la normativa sia chiara, continuano a registrarsi casi di diniego da parte di alcuni uffici postali e istituti di credito, che dimostrano quanto il principio di uguaglianza fatichi ancora a tradursi in prassi operative.

1. Il quadro normativo: un diritto soggettivo riconosciuto

Il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 70/2018 ha istituito il cosiddetto conto di base, ossia un conto accessibile a chiunque risieda legalmente nell’Unione Europea, compresi i richiedenti protezione internazionale o complementare.
Il decreto, in attuazione della direttiva UE 2014/92, sancisce il diritto di ogni persona fisica — anche priva di reddito — ad accedere a un conto che garantisca i servizi bancari fondamentali (depositi, prelievi, pagamenti e accrediti).

Questo diritto ha natura soggettiva piena, e il suo esercizio non può essere limitato per ragioni di status o di nazionalità, purché il soggetto sia legalmente soggiornante in Italia.

2. Le istruzioni di Poste Italiane: apertura consentita anche con permesso provvisorio

Dal giugno 2019, a seguito della Circolare ABI del 19 aprile 2019, Poste Italiane S.p.A. ha disposto — tramite comunicazione interna — che i richiedenti protezione possano aprire un conto di base Bancoposta presentando anche il permesso di soggiorno provvisorio o la ricevuta di rinnovo rilasciata dalla Questura ai sensi del D.Lgs. 142/2015, come modificato dal D.L. 113/2018.

Le note ufficiali inviate a seguito di reclami gestiti dallo scrivente (protocolli PB-250109170/2025, PB-250521121/2025, PB-250201058/2025 e PB-250606324/2025) confermano che:

  • il permesso di soggiorno provvisorio per richiesta protezione internazionale o complementare è documento valido per l’identificazione e l’apertura del conto;

  • se il codice fiscale è riportato sul titolo, il documento può valere anche come attestazione fiscale;

  • il conto di base è sempre apribile, mentre carte prepagate o prodotti finanziari evoluti possono richiedere un titolo di soggiorno definitivo.

3. La protezione complementare: stesso diritto, diversa fonte

L’art. 19, commi 1 e 1.1, del D.Lgs. 286/1998 tutela lo straniero da qualsiasi forma di espulsione o respingimento che comporti una violazione dei diritti fondamentali della persona.
Chi gode di questa protezione complementare è, a tutti gli effetti, legalmente soggiornante e quindi titolare degli stessi diritti civili e sociali riconosciuti ai titolari di protezione internazionale, incluso il diritto di aprire un conto corrente.

In diversi casi seguiti dal sottoscritto, Poste Italiane ha riconosciuto la validità del permesso per protezione speciale o complementare ai fini dell’identificazione bancaria, confermando che anche tali titolari rientrano pienamente nell’ambito di applicazione del Decreto MEF 70/2018.

4. Quando il diniego è illegittimo e discriminatorio

Il rifiuto di aprire un conto a un richiedente protezione — internazionale o complementare — costituisce violazione di un diritto soggettivo.
Si tratta di un comportamento privo di base normativa e potenzialmente discriminatorio, poiché limita l’accesso ai servizi essenziali sulla base dello status giuridico del soggetto.

In questi casi il richiedente può:

  1. presentare reclamo scritto a Poste Italiane o alla banca interessata;

  2. ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF);

  3. segnalare la violazione alla Banca d’Italia, quale autorità di vigilanza.

5. Il conto come strumento di integrazione

Disporre di un conto corrente consente di ricevere lo stipendio, pagare l’affitto, accedere ai servizi sanitari e partecipare alla vita economica.
Negare questo diritto significa ostacolare l’integrazione e spingere le persone verso l’irregolarità.
L’accesso ai servizi bancari è quindi una forma di cittadinanza economica, complementare alla tutela giuridica ottenuta attraverso la protezione internazionale o complementare.

6. Conclusione

Il diritto del richiedente protezione internazionale o complementare ad aprire un conto corrente è pienamente riconosciuto dalla legge italiana e dalle direttive europee.
Le istituzioni e gli operatori finanziari hanno il dovere di renderlo effettivo, non solo per rispetto delle norme, ma come atto concreto di inclusione e giustizia sociale.
Garantire l’accesso a un conto significa garantire dignità, autonomia e legalità: tre pilastri indispensabili di una società che voglia davvero essere integrata.


Avv. Fabio Loscerbo

La Commissione di Bari riconosce la protezione speciale: l’integrazione come valore giuridico tutelato

 

La Commissione di Bari riconosce la protezione speciale: l’integrazione come valore giuridico tutelato

Sottotitolo:
Il caso di un cittadino marocchino conferma l’importanza del radicamento lavorativo e sociale come fondamento della tutela dei diritti umani in Italia.


Una recente decisione della Commissione Territoriale di Bari ha riconosciuto la protezione speciale a un cittadino marocchino, valorizzando il suo percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia.

L’uomo, residente in provincia di Bergamo, vive nel nostro Paese dal 2014, dove ha costruito un’esistenza stabile: contratto di locazione, lavoro regolare nel settore edile, relazioni sociali consolidate e piena autonomia abitativa. Tutti elementi che la Commissione ha considerato decisivi ai fini del riconoscimento della tutela di cui all’articolo 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/1998).

Pur escludendo i presupposti per lo status di rifugiato o per la protezione sussidiaria, la Commissione ha rilevato che l’allontanamento dall’Italia avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Secondo la motivazione, infatti, l’espulsione del richiedente “determinerebbe una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale, in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza”.

Il provvedimento si inserisce in un orientamento sempre più diffuso secondo cui la protezione speciale rappresenta non un’eccezione, ma una forma di tutela fondata sulla centralità del percorso di integrazione.
Il lavoro, la stabilità abitativa e i legami sociali diventano parametri concreti per valutare la compatibilità tra l’allontanamento e la dignità della persona.

Questa decisione conferma come la protezione speciale sia ormai uno strumento chiave per garantire il diritto a restare quando la vita costruita in Italia riflette un’effettiva integrazione nella comunità nazionale.
Un principio che avvicina il diritto dell’immigrazione alla realtà sociale, riconoscendo che l’appartenenza non nasce solo da un titolo giuridico, ma da un percorso umano e relazionale.

Avv. Fabio Loscerbo
www.avvocatofabioloscerbo.it

sabato 18 ottobre 2025

Protezione speciale riconosciuta a un cittadino marocchino: la Commissione di Bari valorizza integrazione e stabilità lavorativa

 Protezione speciale riconosciuta a un cittadino marocchino: la Commissione di Bari valorizza integrazione e stabilità lavorativa

La Commissione Territoriale di Bari, con decisione del 23 giugno 2025, ha rigettato la domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino marocchino, riconoscendo tuttavia i presupposti per la trasmissione degli atti alla Questura ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del D.Lgs. 286/1998 e dell’art. 32, comma 3, del D.Lgs. 25/2008.

Il richiedente, residente stabilmente in provincia di Bergamo e impiegato nel settore edile, aveva dichiarato di aver lasciato il Marocco nel 2014 dopo aver denunciato un furto subito nel proprio negozio e di essere stato minacciato da soggetti ricercati dalle autorità locali. Dopo un primo rigetto della domanda di asilo nel 2023, l’interessato aveva reiterato la richiesta nel dicembre 2024, allegando documentazione completa in merito alla propria integrazione sociale e lavorativa in Italia.

Tra gli atti prodotti: contratto di locazione, iscrizione anagrafica, contratti di fornitura domestica, numerosi contratti di lavoro e comunicazioni UNILAV, buste paga, certificazioni reddituali, attestati formativi e dichiarazioni sanitarie. La Commissione ha riconosciuto la piena regolarità del percorso occupazionale, con più rapporti di lavoro a tempo determinato e indeterminato, l’autonomia abitativa e l’inserimento in un contesto locale stabile e partecipativo.

Nella motivazione, la Commissione ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, ma ha ritenuto sussistente la condizione di inespellibilità fondata sull’art. 8 della CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In particolare, il provvedimento evidenzia che l’espulsione determinerebbe “una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale, in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza”.

Si tratta di un provvedimento significativo che conferma l’importanza del radicamento lavorativo e sociale quale elemento decisivo per il riconoscimento della protezione speciale. Ancora una volta emerge come l’integrazione reale e documentata rappresenti un valore giuridico tutelato dall’ordinamento italiano e dalle norme internazionali in materia di diritti umani.

Avv. Fabio Loscerbo
www.avvocatofabioloscerbo.it

venerdì 17 ottobre 2025

🎙️ Titulli i podcastit: “Leja e qëndrimit për punë: kur mungon kontrata e qëndrimit, policia duhet ta refuzojë kërkesën”


 🎙️ Titulli i podcastit:

“Leja e qëndrimit për punë: kur mungon kontrata e qëndrimit, policia duhet ta refuzojë kërkesën”


🎧 Teksti i podcastit:

Mirë se vini në një episod të ri të E Drejta e Imigracionit, me avokatin Fabio Loscerbo.

Sot analizojmë një vendim të Gjykatës Administrative Rajonale të Lazios (TAR Lazio), vendimi nr. 17768 i vitit 2025, që trajton një çështje shumë të zakonshme: dhënien e lejes së qëndrimit për punë kur kontrata e qëndrimit nuk është nënshkruar.

Rasti ka të bëjë me një shtetas të huaj që kishte paraqitur kërkesë pranë Komisariatit të Policisë së Romës (Questura di Roma) për të marrë leje qëndrimi për punë të varur ose për pritje punësimi.
Administrata e kishte refuzuar kërkesën si të papranueshme, sepse kontrata e qëndrimit midis punonjësit dhe punëdhënësit nuk ishte nënshkruar në Zyrën e Bashkuar të Imigracionit (Sportello Unico per l’Immigrazione).

Aplikanti pretendoi se mungesa e nënshkrimit nuk ishte faji i tij, por i punëdhënësit që e kishte larguar nga puna para takimit të planifikuar.
Megjithatë, gjykata e konsideroi këtë argument të parëndësishëm, duke sqaruar se nuk mund të lëshohet leje qëndrimi pa kontratën e nënshkruar të qëndrimit.

TAR-i theksoi se bëhet fjalë për një akt administrativ të detyrueshëm, që do të thotë se policia nuk ka hapësirë për vlerësim apo diskrecion: nëse kontrata nuk është nënshkruar në Prefekturë, kërkesa është automatikisht e papranueshme.

Gjykata kujtoi gjithashtu se, nëse problemi vjen nga mungesa e veprimit nga ana e Prefekturës apo e Zyrës së Bashkuar të Imigracionit, mjeti i duhur nuk është paraqitja e kërkesës drejtpërdrejt në polici, por padia për heshtjen administrative, sipas neneve 31 dhe 117 të Kodit të Procedurës Administrative.

Në përfundim, gjykata riafirmoi një parim të qartë: leja e qëndrimit për punë të varur mund të lëshohet vetëm pas nënshkrimit të kontratës së qëndrimit.
Pa këtë hap të domosdoshëm, administrata nuk mund të vazhdojë procedurën, dhe policia është e detyruar ta refuzojë kërkesën.

Unë jam avokati Fabio Loscerbo, dhe ky është E Drejta e Imigracionit — podcasti që shpjegon si ligji dhe jurisprudenca përcaktojnë rrugët e integrimit dhe punës për shtetasit e huaj.
Mirupafshim në episodin e ardhshëm!


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🎙️ Título del pódcast: “Permiso de residencia por trabajo: cuando falta el contrato de estancia, la Policía debe rechazar la solicitud”


 🎙️ Título del pódcast:

“Permiso de residencia por trabajo: cuando falta el contrato de estancia, la Policía debe rechazar la solicitud”


🎧 Texto del pódcast:

Bienvenidos a un nuevo episodio de Derecho de Inmigración, con el abogado Fabio Loscerbo.

Hoy analizamos una sentencia del Tribunal Administrativo Regional del Lacio (TAR Lacio), la número 17768 de 2025, que trata un tema muy frecuente: la concesión del permiso de residencia por trabajo cuando no se ha firmado el contrato de estancia.

El caso se refiere a un ciudadano extranjero que presentó una solicitud ante la Jefatura de Policía de Roma (Questura di Roma) para obtener un permiso de residencia por trabajo subordinado o por espera de empleo.
La administración rechazó la solicitud por considerarla inadmisible, ya que el contrato de estancia entre el trabajador y el empleador no había sido firmado en la Ventanilla Única de Inmigración (Sportello Unico per l’Immigrazione).

El solicitante argumentó que la falta de firma del contrato no fue culpa suya, sino del empleador, que lo había despedido antes de la cita prevista.
Sin embargo, el tribunal consideró este argumento irrelevante, aclarando que no se puede expedir un permiso de residencia sin un contrato de estancia debidamente firmado.

El TAR precisó que se trata de un acto administrativo obligatorio, es decir, que la policía no tiene margen de discrecionalidad: si el contrato no se ha firmado en la Prefectura, la solicitud es automáticamente inadmisible.

Además, la sentencia recordó que, si el problema proviene de la inactividad de la Prefectura o de la Ventanilla Única de Inmigración, el procedimiento correcto no es acudir directamente a la policía, sino presentar un recurso por silencio administrativo, tal como establecen los artículos 31 y 117 del Código del Proceso Administrativo.

En conclusión, el tribunal reafirmó un principio claro: el permiso de residencia por trabajo subordinado solo puede emitirse después de la firma del contrato de estancia.
Sin este paso, la administración no puede continuar el trámite, y la policía debe rechazar la solicitud.

Soy el abogado Fabio Loscerbo, y este es Derecho de Inmigración, el pódcast que explica cómo la ley y la jurisprudencia marcan los caminos de la integración y el trabajo para los ciudadanos extranjeros.
¡Hasta el próximo episodio!


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🎙️ عنوان البودكاست: "تصريح الإقامة للعمل: عندما يغيب عقد الإقامة، يتعين على الشرطة رفض الطلب"


 🎙️ عنوان البودكاست:

"تصريح الإقامة للعمل: عندما يغيب عقد الإقامة، يتعين على الشرطة رفض الطلب"


🎧 نص البودكاست:

مرحبًا بكم في حلقة جديدة من بودكاست قانون الهجرة مع المحامي فابيو لوسيربو.

نتحدث اليوم عن حكم صادر عن المحكمة الإدارية الإقليمية لمنطقة لاتسيو (TAR Lazio)، القرار رقم 17768 لسنة 2025، الذي يتناول مسألة متكررة: منح تصريح الإقامة لأغراض العمل عندما لا يتم توقيع عقد الإقامة.

تتناول القضية مواطنًا أجنبيًا قدّم طلبًا إلى شرطة روما (Questura di Roma) للحصول على تصريح إقامة للعمل التابع أو في انتظار العمل.
رفضت الإدارة الطلب على أساس أنه غير مقبول شكلاً، لأن عقد الإقامة بين العامل وصاحب العمل لم يتم توقيعه في النافذة الموحدة للهجرة (Sportello Unico per l’Immigrazione).

ادّعى مقدم الطلب أن عدم توقيع العقد لم يكن بسببه، بل بسبب صاحب العمل الذي فصله قبل موعد التوقيع.
ومع ذلك، رأت المحكمة أن هذا الادعاء غير ذي صلة، موضحة أنه لا يمكن إصدار تصريح الإقامة دون عقد الإقامة الموقّع.

وأكدت المحكمة أن القرار في هذه الحالة هو قرار إداري إلزامي، أي أن الشرطة لا تمتلك أي سلطة تقديرية: إذا لم يتم توقيع العقد في المحافظة، فإن الطلب يُعتبر تلقائيًا غير مقبول.

كما أوضحت المحكمة أنه في حال كان سبب المشكلة هو تقصير المحافظة أو النافذة الموحدة للهجرة، فإن الحل لا يكون بالتوجه إلى الشرطة مباشرة، بل برفع دعوى بشأن الصمت الإداري، كما ينص عليه المادتان 31 و117 من قانون الإجراءات الإدارية الإيطالي.

وفي الختام، أكدت المحكمة مبدأ واضحًا: تصريح الإقامة للعمل التابع لا يمكن أن يُمنح إلا بعد توقيع عقد الإقامة.
فمن دون هذا الإجراء الأساسي، لا يمكن للإدارة المضي قدمًا، ويجب على الشرطة رفض الطلب.

أنا المحامي فابيو لوسيربو، وهذا هو بودكاست قانون الهجرة، الذي يشرح كيف ترسم القوانين والأحكام القضائية مسار الاندماج والعمل للمواطنين الأجانب.
إلى اللقاء في الحلقة القادمة!


📱 الوسوم:
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🎙️ Podcast Title: “Work Residence Permit: When the Stay Contract Is Missing, the Police Headquarters Must Say No”


 🎙️ Podcast Title:

“Work Residence Permit: When the Stay Contract Is Missing, the Police Headquarters Must Say No”


🎧 Podcast Script:

Welcome to a new episode of Immigration Law, with lawyer Fabio Loscerbo.

Today we discuss a ruling from the Regional Administrative Court of Lazio (TAR Lazio), decision no. 17768 of 2025, which deals with a recurring issue: the issuance of a residence permit for employment when the stay contract has not been signed.

The case involved a foreign citizen who applied to the Rome Police Headquarters (Questura di Roma) for a residence permit for subordinate employment or pending employment.
The administration rejected the application as inadmissible because the stay contract between the applicant and the employer had not been signed at the Single Immigration Desk (Sportello Unico per l’Immigrazione).

The applicant argued that the failure to sign the contract was not his fault, but the employer’s, who had dismissed him before the scheduled appointment.
However, the TAR found this argument irrelevant, explaining that the residence permit cannot be issued without the signed stay contract.

The Court clarified that this is a binding administrative act, meaning that the Police Headquarters has no discretion: without the contract signed at the Prefecture, the application is automatically inadmissible.

The judgment also emphasized that if the issue arises from the Prefecture’s or Immigration Desk’s inaction, the proper remedy is not to apply directly to the Police Headquarters, but to file a petition for administrative silence, as provided by Articles 31 and 117 of the Administrative Procedure Code.

In conclusion, the Court reaffirmed a clear principle: a residence permit for subordinate employment can only be issued after the stay contract is signed.
Without that step, the administration cannot proceed, and the Police Headquarters must reject the application.

I’m lawyer Fabio Loscerbo, and this is Immigration Law, the podcast that explains how legislation and case law shape integration and employment paths for foreign citizens.
See you in the next episode!


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Benvenuti su "Osservatorio Giuridico dell'Immigrazione"

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