sabato 22 novembre 2025

Il domicilio nel procedimento di protezione: perché la Commissione non può ignorare l’elezione presso il difensore

 

Il domicilio nel procedimento di protezione: perché la Commissione non può ignorare l’elezione presso il difensore

Nel procedimento per il riconoscimento della protezione, il tema delle notificazioni è diventato, negli ultimi anni, un terreno di frizione costante tra Commissioni territoriali e difensori. La questione è nota: le Commissioni ritengono che gli atti debbano essere notificati esclusivamente al centro di accoglienza o all’ultimo domicilio fisico del richiedente, escludendo qualsiasi effetto dell’elezione di domicilio presso il legale.
Questa posizione, tuttavia, non regge ad un’analisi rigorosa delle norme vigenti. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 – nella sua formulazione più recente – impone al richiedente di comunicare ogni mutamento di residenza o domicilio e stabilisce che, se non accolto in strutture, gli atti vadano notificati presso “l’ultimo domicilio comunicato” dal richiedente. Ed è proprio qui che si colloca il nodo interpretativo.

Il legislatore non utilizza il termine residenza. Non utilizza il termine dimora. Non impone un domicilio fisico. Indica, invece, in modo chiaro e inequivocabile il domicilio.
Un termine che, nel diritto italiano, ha un significato tecnico preciso, definito dall’art. 43 del codice civile come il luogo in cui la persona “ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Ed è un concetto che il nostro ordinamento consente di plasmare mediante elezione di domicilio, ai sensi dell’art. 47 c.c., proprio per determinati affari, procedimenti o rapporti giuridici.

Nel procedimento amministrativo, salvo divieti espressi, l’elezione di domicilio resta pienamente valida e opponibile alla Pubblica Amministrazione. L’art. 11 del d.lgs. 25/2008 non contiene alcun divieto né alcuna limitazione: non dice che la notifica può avvenire solo al domicilio fisico; non afferma che il domicilio debba coincidere con il luogo in cui la persona vive; non esclude la possibilità che il domicilio dichiarato sia lo studio del difensore.
La norma, semplicemente, disciplina la validità della notifica in assenza di cooperazione del richiedente: indica una sede “minima” dove l’atto è comunque efficace. Ma non impedisce che l’interessato possa stabilire un domicilio diverso e più sicuro per esercitare il proprio diritto di difesa.

L’elezione di domicilio presso il difensore, dunque, rientra pienamente nel concetto giuridico di “domicilio comunicato” previsto dalla legge. È una scelta che il richiedente può compiere legittimamente, e che la Commissione deve rispettare.
Non è una forzatura interpretativa: è l’applicazione lineare del diritto civile e amministrativo. In nessun punto la normativa speciale in materia di protezione internazionale ridefinisce o restringe la nozione di domicilio. Tantomeno può farlo un sistema informatico. Una limitazione tecnica dell’applicativo SUA non è fonte di diritto, non può derogare al codice civile e non può annullare una dichiarazione giuridicamente efficace.

Ciò che conta per la legge è che il richiedente comunichi il domicilio. Ed è esattamente ciò che avviene quando il richiedente elegge domicilio presso il proprio avvocato per il procedimento in corso. In quel momento, a tutti gli effetti, la Commissione è a conoscenza del domicilio comunicato ai sensi dell’art. 11. Ignorarla, preferendo un indirizzo anagrafico o un luogo di dimora, significa svuotare di contenuto una facoltà prevista dalla legge e, soprattutto, compromettere l’effettività del diritto di difesa.

Vi è poi un ulteriore profilo: il domicilio eletto presso il difensore non solo è legittimo, ma è anche lo strumento che garantisce in modo più affidabile la conoscenza dell’atto. Le giacenze postali, gli errori di recapito, le situazioni abitative precarie o incerte sono fenomeni tipici nella realtà del richiedente protezione internazionale. Il domicilio presso il legale, invece, assicura certezza, tracciabilità, tempestività e un contatto diretto con chi esercita la difesa tecnica.
In un sistema che ha come fulcro il diritto al contraddittorio e la possibilità di impugnare tempestivamente i provvedimenti, la notifica presso il difensore è spesso l’unica modalità idonea a garantire effettiva conoscenza dell’atto.

Alla luce di tutto ciò, la posizione delle Commissioni territoriali – secondo cui “le notifiche possono avvenire solo presso il centro o presso l’ultimo domicilio fisico” – non trova alcun fondamento normativo. È un’interpretazione amministrativa, non una prescrizione di legge.
Finché il comma 3-bis parla di “domicilio comunicato”, il richiedente mantiene la piena facoltà di eleggerlo presso il difensore. E la Commissione ha il dovere giuridico di rispettarlo.


Avv. Fabio Loscerbo

venerdì 21 novembre 2025

New on TikTok: عنوان الحلقة: نظام دبلن والالتزامات المعلوماتية: محكمة روما تُلغي قرار النقل إلى سلوفينيا (رقم السجل العام 37474 لعام 2025) صباح الخير، أنا المحامي فابيو لوسيربو، وهذه حلقة جديدة من بودكاست “قانون الهجرة”. سأتناول اليوم قرارًا صادرًا عن محكمة روما، الدائرة المختصة بحقوق الإنسان والهجرة، بتاريخ الثامن عشر من نوفمبر عام ألفين وخمسة وعشرين، والمتعلق بالإجراءات المُقيّدة تحت رقم السجل العام 37474 لسنة 2025. يتعلق القرار بالطعن ضد الإجراء الصادر عن وحدة دبلن في وزارة الداخلية، والذي قضى بنقل طالب الحماية إلى سلوفينيا. وقد قبلت المحكمة الطعن بعدما تبيّن لها عدم احترام الالتزامات المعلوماتية المنصوص عليها في المادتين الرابعة والخامسة من اللائحة الأوروبية رقم 604 لعام 2013. النقطة الجوهرية في القضية هي المقابلة الشخصية. فقد أكدت محكمة العدل الأوروبية، في حكمها الصادر في الثلاثين من نوفمبر عام ألفين وثلاثة وعشرين، أنّ المقابلة تمثل ضمانة أساسية: يجب إجراؤها قبل اتخاذ قرار النقل، بلغة يفهمها طالب الحماية، وفي ظروف تضمن السرية، كما يجب أن تتيح له عرض العناصر الشخصية ذات الصلة. إضافة إلى ذلك، يتعيّن على الدولة إعداد ملخص مكتوب يتضمن على الأقل المعلومات الرئيسية التي قدّمها طالب الحماية خلال المقابلة. وفي القضية التي نظرت فيها محكمة روما، لم يكن لهذا الملخص أي وجود. فالاستمارة التي قدّمتها الإدارة لم تتضمن سوى البيانات الشخصية للمعنيّ وعنوان إقامته، دون أي إشارة إلى مضمون المقابلة أو الأسئلة المطروحة أو الإجابات المقدمة. وفي مثل هذه الحالة، تُعتبر المقابلة غير مستوفية للشروط، ويترتّب على ذلك إلغاء قرار النقل تلقائيًا. وقد أكدت ذلك كل من محكمة العدل الأوروبية وأحدث أحكام محكمة النقض الإيطالية. كما رأت المحكمة أنّه لا يمكن معالجة هذا الخلل عبر جلسة استماع قضائية، لأن ذلك من شأنه الإضرار بالطابع السريع والإجرائي لنظام دبلن. وبناءً على ذلك، خلصت المحكمة إلى أنّ إيطاليا هي الجهة المختصة بالنظر في طلب الحماية الدولية. نلتقي في الحلقة القادمة من بودكاست “قانون الهجرة”.

https://ift.tt/6JbujwU عنوان الحلقة: نظام دبلن والالتزامات المعلوماتية: محكمة روما تُلغي قرار النقل إلى سلوفينيا (رقم السجل العام 37474 لعام 2025) صباح الخير، أنا المحامي فابيو لوسيربو، وهذه حلقة جديدة من بودكاست “قانون الهجرة”. سأتناول اليوم قرارًا صادرًا عن محكمة روما، الدائرة المختصة بحقوق الإنسان والهجرة، بتاريخ الثامن عشر من نوفمبر عام ألفين وخمسة وعشرين، والمتعلق بالإجراءات المُقيّدة تحت رقم السجل العام 37474 لسنة 2025. يتعلق القرار بالطعن ضد الإجراء الصادر عن وحدة دبلن في وزارة الداخلية، والذي قضى بنقل طالب الحماية إلى سلوفينيا. وقد قبلت المحكمة الطعن بعدما تبيّن لها عدم احترام الالتزامات المعلوماتية المنصوص عليها في المادتين الرابعة والخامسة من اللائحة الأوروبية رقم 604 لعام 2013. النقطة الجوهرية في القضية هي المقابلة الشخصية. فقد أكدت محكمة العدل الأوروبية، في حكمها الصادر في الثلاثين من نوفمبر عام ألفين وثلاثة وعشرين، أنّ المقابلة تمثل ضمانة أساسية: يجب إجراؤها قبل اتخاذ قرار النقل، بلغة يفهمها طالب الحماية، وفي ظروف تضمن السرية، كما يجب أن تتيح له عرض العناصر الشخصية ذات الصلة. إضافة إلى ذلك، يتعيّن على الدولة إعداد ملخص مكتوب يتضمن على الأقل المعلومات الرئيسية التي قدّمها طالب الحماية خلال المقابلة. وفي القضية التي نظرت فيها محكمة روما، لم يكن لهذا الملخص أي وجود. فالاستمارة التي قدّمتها الإدارة لم تتضمن سوى البيانات الشخصية للمعنيّ وعنوان إقامته، دون أي إشارة إلى مضمون المقابلة أو الأسئلة المطروحة أو الإجابات المقدمة. وفي مثل هذه الحالة، تُعتبر المقابلة غير مستوفية للشروط، ويترتّب على ذلك إلغاء قرار النقل تلقائيًا. وقد أكدت ذلك كل من محكمة العدل الأوروبية وأحدث أحكام محكمة النقض الإيطالية. كما رأت المحكمة أنّه لا يمكن معالجة هذا الخلل عبر جلسة استماع قضائية، لأن ذلك من شأنه الإضرار بالطابع السريع والإجرائي لنظام دبلن. وبناءً على ذلك، خلصت المحكمة إلى أنّ إيطاليا هي الجهة المختصة بالنظر في طلب الحماية الدولية. نلتقي في الحلقة القادمة من بودكاست “قانون الهجرة”. https://ift.tt/5nqjOA6

New on TikTok: Titolo dell’episodio: Trasferimenti Dublino e obblighi informativi: il Tribunale di Roma annulla il trasferimento in Slovenia (Ruolo Generale 37474 del 2025) Buongiorno, sono l’avvocato Fabio Loscerbo e questo è un nuovo episodio del podcast “Diritto dell’Immigrazione”. Oggi analizzo un provvedimento del Tribunale di Roma, Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, depositato il diciotto novembre duemila venticinque, relativo al procedimento iscritto al Ruolo Generale 37474 dell’anno 2025. Il decreto riguarda l’impugnazione della decisione dell’Unità Dublino del Ministero dell’Interno che aveva disposto il trasferimento del richiedente in Slovenia. Il Tribunale ha accolto il ricorso, rilevando il mancato rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli quattro e cinque del Regolamento Dublino numero seicentoquattro del duemila tredici. Il punto centrale è il colloquio personale. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del trenta novembre duemila ventitre, ha stabilito che il colloquio è una garanzia essenziale: deve essere svolto prima della decisione, deve avvenire in una lingua comprensibile, in condizioni di riservatezza, e deve consentire al richiedente di esporre elementi individuali rilevanti. Inoltre, lo Stato deve redigere una sintesi scritta contenente almeno le principali informazioni fornite nel corso dell’incontro. Nel procedimento in esame, questa sintesi non risultava esistere. Il modulo messo agli atti riportava soltanto le generalità del richiedente e il suo domicilio, senza alcun riferimento al contenuto del colloquio. In queste condizioni il colloquio deve considerarsi non validamente svolto, con la conseguenza automatica dell’annullamento della decisione di trasferimento. Lo ha ribadito la giurisprudenza della Corte di Giustizia e, più di recente, quella della Corte di Cassazione. Il Tribunale ha inoltre ritenuto che non fosse possibile sanare la violazione mediante un’audizione davanti al giudice, poiché ciò avrebbe compromesso la celerità dell’intero sottoprocedimento Dublino. La conseguenza è che l’Italia deve essere considerata competente a valutare la domanda di protezione internazionale. Ci sentiamo nel prossimo episodio del podcast “Diritto dell’Immigrazione”.

https://ift.tt/2UxbeWo Titolo dell’episodio: Trasferimenti Dublino e obblighi informativi: il Tribunale di Roma annulla il trasferimento in Slovenia (Ruolo Generale 37474 del 2025) Buongiorno, sono l’avvocato Fabio Loscerbo e questo è un nuovo episodio del podcast “Diritto dell’Immigrazione”. Oggi analizzo un provvedimento del Tribunale di Roma, Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, depositato il diciotto novembre duemila venticinque, relativo al procedimento iscritto al Ruolo Generale 37474 dell’anno 2025. Il decreto riguarda l’impugnazione della decisione dell’Unità Dublino del Ministero dell’Interno che aveva disposto il trasferimento del richiedente in Slovenia. Il Tribunale ha accolto il ricorso, rilevando il mancato rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli quattro e cinque del Regolamento Dublino numero seicentoquattro del duemila tredici. Il punto centrale è il colloquio personale. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del trenta novembre duemila ventitre, ha stabilito che il colloquio è una garanzia essenziale: deve essere svolto prima della decisione, deve avvenire in una lingua comprensibile, in condizioni di riservatezza, e deve consentire al richiedente di esporre elementi individuali rilevanti. Inoltre, lo Stato deve redigere una sintesi scritta contenente almeno le principali informazioni fornite nel corso dell’incontro. Nel procedimento in esame, questa sintesi non risultava esistere. Il modulo messo agli atti riportava soltanto le generalità del richiedente e il suo domicilio, senza alcun riferimento al contenuto del colloquio. In queste condizioni il colloquio deve considerarsi non validamente svolto, con la conseguenza automatica dell’annullamento della decisione di trasferimento. Lo ha ribadito la giurisprudenza della Corte di Giustizia e, più di recente, quella della Corte di Cassazione. Il Tribunale ha inoltre ritenuto che non fosse possibile sanare la violazione mediante un’audizione davanti al giudice, poiché ciò avrebbe compromesso la celerità dell’intero sottoprocedimento Dublino. La conseguenza è che l’Italia deve essere considerata competente a valutare la domanda di protezione internazionale. Ci sentiamo nel prossimo episodio del podcast “Diritto dell’Immigrazione”. https://ift.tt/8Wmnk5c

New on TikTok: Title of the episode: Dublin transfers and information obligations: the Rome Court annuls the transfer to Slovenia (General Docket Number 37474 of 2025) Good morning, I am lawyer Fabio Loscerbo and this is a new episode of the podcast “Immigration Law”. Today I examine a decision of the Court of Rome, Section for the Rights of the Person and Immigration, issued on the eighteenth of November two thousand twenty-five, in the proceeding entered under General Docket Number 37474 of the year 2025. The decree concerns the challenge brought against the decision of the Dublin Unit of the Ministry of the Interior, which had ordered the transfer of the applicant to Slovenia. The Court upheld the appeal, noting a failure to comply with the information obligations laid down in Articles four and five of Regulation (EU) number six hundred and four of two thousand thirteen. The central issue is the personal interview. The Court of Justice of the European Union, in its judgment of the thirtieth of November two thousand twenty-three, clarified that the interview is an essential safeguard: it must take place before the transfer decision, it must be conducted in a language that the applicant understands, in conditions guaranteeing confidentiality, and it must allow the applicant to present any relevant personal circumstances. Moreover, the State must draft a written summary containing at least the main information provided during the interview. In the case examined by the Court of Rome, this summary did not exist. The form produced by the administration contained only the applicant’s personal details and domicile, with no indication whatsoever of the questions asked, the answers provided, or any personal elements disclosed during the meeting. In such circumstances, the interview must be considered not validly conducted, and this automatically entails the annulment of the transfer decision. This outcome is confirmed both by the Court of Justice and by the recent case law of the Court of Cassation. The Court also found that it was not possible to remedy the violation through a judicial hearing, as this would have undermined the efficiency and speed required by the Dublin procedure. The consequence is that Italy must be considered competent to examine the application for international protection. See you in the next episode of the “Immigration Law” podcast.

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La natura sostanziale degli obblighi informativi nel sistema Dublino: nota al decreto del Tribunale di Roma del 18 novembre 2025 (Ruolo Generale 37474/2025)

 La natura sostanziale degli obblighi informativi nel sistema Dublino: nota al decreto del Tribunale di Roma del 18 novembre 2025 (Ruolo Generale 37474/2025)

Abstract
Il presente contributo analizza il decreto del Tribunale di Roma, Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, del 18 novembre 2025 (Ruolo Generale 37474/2025), che ha annullato un provvedimento di trasferimento adottato dall’Unità Dublino per violazione degli obblighi informativi previsti dagli articoli 4 e 5 del Regolamento (UE) n. 604/2013. La decisione offre l’occasione per riflettere sulla portata sostanziale delle garanzie partecipative del richiedente protezione internazionale e sul rilievo attribuito dalla giurisprudenza europea e nazionale alla corretta esecuzione del colloquio personale.

1. Introduzione
L’evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni ha ridefinito in profondità il ruolo delle garanzie informative nel procedimento di determinazione dello Stato competente ai sensi del Regolamento (UE) n. 604/2013. A partire dalla sentenza della Corte di Giustizia del 30 novembre 2023, il colloquio previsto dall’art. 5 ha assunto connotati sempre più marcati di strumento sostanziale, essenziale per garantire al richiedente l’effettiva possibilità di partecipare al procedimento e di incidere sul suo esito.

Il decreto del Tribunale di Roma del 18 novembre 2025 si colloca pienamente lungo questa direttrice interpretativa, ribadendo che gli obblighi informativi non possono essere assolti in modo meramente formale, né possono essere surrogati da altri atti del procedimento di asilo. Il mancato svolgimento di un colloquio conforme ai requisiti europei determina un vizio insanabile e, come nel caso di specie, l’annullamento automatico della decisione di trasferimento.

2. Il quadro normativo di riferimento
Il sistema delineato dal Regolamento Dublino III attribuisce un ruolo centrale alle garanzie informative. L’art. 4 impone all’autorità procedente di consegnare un opuscolo informativo che illustri in modo chiaro la logica del meccanismo Dublino, i criteri di competenza, i diritti del richiedente e le fasi del procedimento.
L’art. 5, a sua volta, disciplina il colloquio personale, prevedendo che esso sia effettuato prima dell’adozione della decisione, in una lingua comprensibile, in condizioni di adeguata riservatezza, e con redazione di una sintesi scritta che riporti le principali informazioni fornite dal richiedente.

La giurisprudenza europea ha ormai precisato, in modo inequivoco, che il colloquio non può essere confuso né assorbito dagli adempimenti previsti per la domanda di protezione internazionale (come la compilazione del modello C3). La sua funzione è autonoma e finalizzata a consentire al richiedente di partecipare all’accertamento dello Stato competente.

3. La decisione del Tribunale di Roma del 18 novembre 2025
Nel caso esaminato dal Tribunale di Roma, l’amministrazione aveva prodotto un modulo standardizzato privo di qualsiasi riferimento alle dichiarazioni rese dall’interessato. Dal documento risultavano soltanto le generalità e il domicilio, senza alcuna sintesi del contenuto della presunta audizione.

Secondo il Tribunale, tale modulo non soddisfa i requisiti dell’art. 5 del Regolamento. Esso equivale, di fatto, alla mancata esecuzione del colloquio personale. La violazione incide su una garanzia di rango sostanziale e determina un vulnus diretto al diritto di difesa previsto dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il giudice ha inoltre escluso la possibilità di sanare il vizio attraverso un’audizione in sede giurisdizionale, in quanto la struttura acceleratoria del procedimento Dublino mira a una rapida individuazione dello Stato competente, senza sovrapposizioni fra fase amministrativa e fase giudiziale. Pertanto, la garanzia partecipativa deve essere realizzata nella fase amministrativa, non successivamente.

4. La portata sistemica del provvedimento
La decisione del Tribunale di Roma conferma un orientamento sempre più solido: nel sistema Dublino le garanzie informative costituiscono condizioni di legittimità del provvedimento di trasferimento. La loro violazione dà luogo a un vizio sostanziale, non sanabile attraverso attività processuali integrative.

Il provvedimento assume rilievo non solo per il caso specifico, ma anche per il più ampio contesto del contenzioso Dublino. L’obbligo di redigere una sintesi del colloquio dettagliata e aderente alle dichiarazioni rese rappresenta un presidio essenziale per l’effettività del diritto di difesa. La mancata osservanza di tale obbligo priva il richiedente della possibilità di far valere elementi individuali idonei a influire sulla decisione finale e, in definitiva, compromette la legittimità dell’intero procedimento.

5. Conclusioni
Il decreto del Tribunale di Roma del 18 novembre 2025 appare pienamente coerente con la giurisprudenza europea e nazionale che, negli ultimi anni, ha rafforzato il principio secondo cui le garanzie partecipative nel procedimento Dublino costituiscono un nucleo essenziale del diritto alla protezione internazionale.
La corretta esecuzione del colloquio personale non è un atto meramente formale, ma un passaggio decisivo volto a garantire un effettivo controllo sulla determinazione dello Stato competente.
Il mancato rispetto degli obblighi informativi conduce, inevitabilmente, all’annullamento della decisione di trasferimento e alla riaffermazione del ruolo sostanziale delle garanzie procedimentali nel diritto dell’immigrazione europeo.


Avv. Fabio Loscerbo

giovedì 20 novembre 2025

Ricongiungimento dei genitori ultrasessantacinquenni e ruolo degli altri figli nel Paese di origine (Analisi della sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, 20 novembre 2025 – procedimento numero 27916 del 2025)

 Abstract

Il contributo analizza la recente pronuncia del Tribunale di Roma che offre un’importante precisazione interpretativa sull’articolo 29 del Testo Unico Immigrazione, con particolare riferimento ai requisiti richiesti per il ricongiungimento familiare dei genitori ultrasessantacinquenni. La decisione consente di chiarire l’esatta portata della distinzione – spesso fraintesa – tra la nozione di “genitore a carico” e quella di “genitore ultrasessantacinquenne”, mettendo in luce l’onere probatorio gravante sul richiedente in presenza di altri figli rimasti nel Paese di origine.


1. Introduzione
Il tema del ricongiungimento familiare dei genitori anziani si colloca in un’area particolarmente sensibile della disciplina migratoria, perché coinvolge non solo diritti soggettivi protetti a livello costituzionale, ma anche esigenze di controllo, proporzionalità e sostenibilità dell’azione amministrativa. L’articolo 29 del d.lgs. 286/1998 distingue due condizioni alternative: il ricongiungimento con “genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine”, e quello con “genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute”.

La pronuncia oggetto di analisi offre un’applicazione rigorosa di tale impostazione, chiarendo che il superamento dei sessantacinque anni non implica automaticamente il diritto al visto d’ingresso, ma richiede una verifica approfondita e documentata sull’effettiva assenza o impossibilità degli altri figli.


2. Il caso esaminato dal Tribunale di Roma
Nel procedimento deciso con sentenza depositata il 20 novembre 2025, numero 27916 del 2025, il ricorrente – cittadino marocchino titolare di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo – aveva ottenuto dallo Sportello Unico il nulla osta per ricongiungere entrambi i genitori.

L’Ambasciata d’Italia in Marocco aveva tuttavia respinto il visto della madre, motivando l’atto con l’esistenza di altri figli nel Paese di origine e con la mancata prova della loro impossibilità ad assisterla. Dalla documentazione prodotta risultava infatti che la madre avesse otto figli complessivi.

Il ricorrente aveva tentato di superare tale ostacolo producendo un certificato di carico familiare, sostenendo che tale documento fosse idoneo a dimostrare la condizione di dipendenza e la cura effettivamente prestata.


3. La distinzione tra “genitore a carico” e “genitore ultrasessantacinquenne”
Il Tribunale, in linea con la giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che le condizioni previste dall’art. 29, comma 1, lettera d), sono alternative e non sovrapponibili. La categoria del “genitore a carico” riguarda il profilo economico e presuppone che il genitore, privo di altri figli nel Paese di provenienza, dipenda materialmente dal richiedente per il proprio sostentamento.

Al contrario, nel caso dei genitori ultrasessantacinquenni, il legislatore non attribuisce alcuna rilevanza al reddito del genitore: la ratio non è economica, bensì assistenziale. L’avanzare dell’età comporta infatti esigenze che vanno oltre il mero sostegno materiale, richiedendo una presenza fisica e una capacità di cura che si presume, in prima battuta, possano essere fornite dagli altri figli residenti nel Paese di origine.


4. L’onere della prova e la presunzione relativa di assistenza familiare
Nell’impianto normativo emerge una presunzione relativa: in presenza di altri figli nel Paese di appartenenza, essi sono considerati i primi responsabili dell’assistenza del genitore anziano.
Spetta pertanto al richiedente dimostrare:

  1. che gli altri figli non si trovano più nel Paese di origine, oppure

  2. che, pur essendovi, sono impossibilitati a provvedere al genitore per gravi motivi di salute documentati.

Questa impostazione rende insufficiente qualsiasi certificazione che attesti solo la dipendenza economica del genitore: ciò che rileva è la concreta impossibilità degli altri figli, non il semplice fatto che non provvedano al mantenimento.

È esattamente su questo punto che il Tribunale ha fondato la propria decisione di rigetto: il certificato di carico familiare prodotto dal ricorrente non dimostrava l’impossibilità degli altri figli di prestare assistenza.


5. Il dispositivo della sentenza e la sua portata sistemica
Il Tribunale ha quindi respinto il ricorso, confermando la legittimità del provvedimento consolare e ritenendo non assolto l’onere probatorio richiesto dalla normativa.
La pronuncia – pur riferendosi a un caso specifico – assume rilievo sistemico poiché riafferma un principio di diritto chiaro: il ricongiungimento dei genitori anziani è materia caratterizzata da un onere probatorio rigoroso a carico del richiedente, il quale non può limitarsi a documentare la propria contribuzione economica ma deve offrire una ricostruzione completa della situazione familiare nel Paese d’origine.


Conclusioni
La decisione del Tribunale di Roma del 20 novembre 2025 rappresenta un tassello interpretativo importante nella disciplina del ricongiungimento familiare. Essa ribadisce che la presenza di altri figli nel Paese di provenienza costituisce un elemento dirimente e che solo una prova puntuale della loro impossibilità oggettiva a prestare assistenza può consentire di superare l’impedimento normativo previsto dal Testo Unico Immigrazione.


Avv. Fabio Loscerbo

sabato 15 novembre 2025

Rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo e onere probatorio sui mezzi di sussistenza

 Rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo e onere probatorio sui mezzi di sussistenza

Abstract
La decisione del Tribunale Amministrativo Regionionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, depositata il 31 ottobre 2025 (R.G. 821/2024 e 822/2024), offre un’occasione di approfondimento sui criteri applicativi degli articoli 4, 5 e 26 del Testo Unico Immigrazione e dell’articolo 13 del DPR 394/1999, con particolare riferimento alla dimostrazione dei mezzi di sussistenza nei procedimenti di rinnovo del titolo per lavoro autonomo. Il giudice amministrativo conferma l’impostazione tradizionale: il requisito reddituale deve essere attuale, effettivo e documentalmente comprovato nella fase procedimentale, mentre gli elementi sopravvenuti rilevano solo se già esistenti e conoscibili dall’Amministrazione al momento della decisione.


L’analisi della sentenza pronunciata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – sezione staccata di Brescia, depositata il 31 ottobre 2025, impone di cogliere subito il fulcro del ragionamento giuridico: la centralità del requisito dei mezzi di sussistenza nel sistema del soggiorno per lavoro autonomo e la natura rigorosa dell’onere probatorio in capo allo straniero richiedente il rinnovo.

Il quadro normativo presenta una coerenza interna che il giudice valorizza con precisione. L’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 286/1998 subordina l’ingresso dello straniero alla disponibilità di risorse economiche adeguate; l’articolo 5, comma 5, condiziona il rinnovo al permanere dei requisiti previsti per il rilascio; l’articolo 13 del DPR 394/1999 richiede la dimostrazione di un reddito da fonti lecite sufficiente al mantenimento proprio e dei familiari conviventi. L’articolo 26 del TUI, specificamente dedicato al lavoro autonomo, integra questi elementi richiedendo un reddito superiore alla soglia per l’esenzione dalla spesa sanitaria e una sistemazione alloggiativa idonea.

La sentenza approfondisce un nodo applicativo ricorrente: la produzione documentale incompleta o tardiva. Il TAR ribadisce che la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata in base agli elementi esistenti e conoscibili al momento dell’adozione dell’atto. Questo principio esclude qualsiasi rimessione in termini attraverso la produzione giudiziale di documenti non presenti nel procedimento, richiamando l’orientamento del Consiglio di Stato secondo cui gli elementi sopravvenuti rilevano soltanto se già esistenti e rappresentati o rappresentabili anteriormente alla decisione.

Il Collegio si sofferma, inoltre, sulla natura del materiale probatorio fornito dai ricorrenti. Le perdite di esercizio della società, l’inattività dell’impresa e l’assenza di flussi reddituali dimostrabili hanno evidenziato una carenza strutturale della capacità economica richiesta. L’acquisto di un immobile – correttamente qualificato come indice patrimoniale privo di rilevanza reddituale – non può supplire all’assenza di entrate lecite e stabili. Ancora più significativa è la questione delle disponibilità bancarie: esse non erano state portate all’attenzione dell’Amministrazione pur essendo già nella disponibilità dei richiedenti, e non potevano quindi essere valorizzate come sopravvenienze utili ai sensi dell’articolo 5, comma 5, TUI.

La pronuncia conferma una linea interpretativa coerente: il permesso di soggiorno per lavoro autonomo presuppone la presenza di un’attività produttiva effettiva, idonea a garantire un radicamento economico reale e non meramente potenziale. Il requisito reddituale costituisce un indice imprescindibile della sostenibilità della permanenza sul territorio nazionale e della capacità del soggetto di contribuire alla vita economica e sociale del Paese senza ricorrere a forme di sostegno improprio.

Significativa è anche la ricostruzione del giudice sul ruolo del preavviso di rigetto: una volta acquisita la documentazione integrativa, l’Amministrazione non è tenuta a reiterare la comunicazione se gli elementi forniti non incidono sull’esito prefigurato. Il procedimento resta, dunque, il luogo centrale e determinante per la completezza dell’istruttoria.

In conclusione, la sentenza del TAR Lombardia riafferma la struttura tradizionale del sistema: il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo richiede un onere probatorio pieno, attuale e tempestivo, non surrogabile da prospettive future o da documentazione tardiva. L’evoluzione giurisprudenziale conferma la solidità di un modello orientato alla verifica della sostenibilità economica del soggiorno, che si inserisce nel più ampio principio di integrazione responsabile e partecipata.


Avvocato Fabio Loscerbo

Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: note alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, 3 aprile 2025 (pubblicazione 28 maggio 2025)

 Revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: note alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, 3 aprile 2025 (pubblicazione 28 maggio 2025)

di Avvocato Fabio Loscerbo


Abstract

La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Quarta, resa all’esito dell’udienza del 3 aprile 2025 e pubblicata il 28 maggio 2025, offre un’occasione utile per tornare su un tema classico del diritto dell’immigrazione: la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’articolo 9 del Testo Unico Immigrazione. In un contesto segnato da un progressivo irrigidimento delle politiche di sicurezza, la pronuncia esamina il corretto equilibrio tra valutazione della pericolosità sociale dello straniero, tutela dell’ordine pubblico e salvaguardia dei legami familiari e dell’integrazione maturata nel territorio nazionale.


1. Il quadro normativo e la centralità della valutazione individuale

L’articolo 9 del decreto legislativo 286 del 1998 disciplina il rilascio, il diniego e la revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Il comma 4 attribuisce al questore un ampio margine valutativo, imponendo però la considerazione congiunta di elementi eterogenei: eventuali condanne per reati gravi, modalità della condotta, durata del soggiorno, legami familiari, integrazione sociale e lavorativa.

Il successivo comma 7 estende tali criteri alla revoca, richiedendo una specifica ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha sempre escluso automatismi espulsivi, sottolineando la necessità di un giudizio attuale, individuale e proporzionato.

Di particolare rilievo, richiamato anche dal TAR, è il passaggio della Corte costituzionale secondo cui il provvedimento deve fondarsi su “un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione articolata non solo con riguardo alla circostanza dell'intervenuta condanna, ma su più elementi” (Corte costituzionale, ordinanza 27 marzo 2014, numero 58).

Rilevante è anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con la sentenza del 3 settembre 2020 nelle cause riunite C-503/19 e C-592/19 ha affermato che il mero richiamo a precedenti penali non può fondare un diniego o una revoca dello status di soggiornante di lungo periodo senza un’analisi individualizzata, che consideri natura del reato, pericolo effettivo per l’ordine pubblico, durata del soggiorno e forza dei legami con lo Stato membro.


2. La vicenda esaminata dal TAR e la struttura dell’argomentazione

Nel caso oggetto della sentenza, lo straniero – cittadino di lungo corso e con legami familiari in Italia – aveva impugnato un decreto di revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, sostenendo che la decisione fosse fondata su un automatismo derivante dalla condanna penale riportata.

Il Tribunale, esaminando gli atti amministrativi, ha invece ritenuto che l’amministrazione avesse svolto una valutazione articolata: non solo considerazione delle condotte delittuose e delle successive frequentazioni, ma anche esame delle fonti di reddito, del comportamento complessivo, del contesto di vita e dei legami familiari. Il TAR conclude che la pericolosità attuale sia stata logicamente motivata e che la tutela dell’ordine pubblico prevalga, in quel caso concreto, sull’interesse alla stabilità del soggiorno.

Degno di nota è il riferimento del Collegio alla “ponderazione comparativa” richiesta dal diritto dell’Unione, che deve essere effettiva e non formale. Nella ricostruzione giudiziale, tale ponderazione risulta adeguatamente condotta.


3. Spunti critici e continuità con l’impostazione tradizionale

La sentenza si colloca nella scia interpretativa che privilegia un approccio rigoroso alla tutela dell’ordine pubblico, pur ribadendo l’obbligo dell’amministrazione di motivare in modo circostanziato la revoca del titolo.

Da un lato, emerge chiaramente il richiamo al principio di individualizzazione e alla ratio europeista che rifiuta ogni automatismo; dall’altro, la decisione valorizza la discrezionalità amministrativa nella ricostruzione della pericolosità, confermando che il permesso di soggiorno UE di lungo periodo non attribuisce un diritto assoluto.

Sul piano pratico, la decisione ribadisce l’importanza, per la difesa, di contestare puntualmente gli elementi considerati dall’amministrazione e di fornire un quadro completo del percorso di integrazione, della stabilità economica e dei legami affettivi, elementi che, ove significativi e attuali, possono incidere in modo determinante sull’esito del giudizio.


4. Conclusioni

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, con la sentenza resa il 3 aprile 2025 e pubblicata il 28 maggio 2025, riafferma l’equilibrio tra dovere statale di tutela dell’ordine pubblico e garanzie dello straniero di lungo periodo, mantenendo un’impostazione coerente con i principi costituzionali e con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia.

La decisione conferma, in definitiva, l’impostazione tradizionale secondo cui la revoca del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo richiede un giudizio articolato, ma la valutazione della pericolosità può prevalere, nei casi concreti, sugli interessi familiari e sull’integrazione qualora emergano elementi attuali e significativi che giustifichino l’allontanamento.


Avvocato Fabio Loscerbo

martedì 4 novembre 2025

Quando non basta la promessa di un lavoro: il TAR Lazio chiarisce i limiti del permesso per attesa occupazione

 


Quando non basta la promessa di un lavoro: il TAR Lazio chiarisce i limiti del permesso per attesa occupazione

Pubblicato il 5 novembre 2025

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la sentenza n. 19426/2025 (Sez. I Ter, R.G. 9173/2022), ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto dell’immigrazione: il permesso di soggiorno per attesa occupazione può essere rilasciato solo in seguito alla cessazione di un rapporto di lavoro effettivamente instaurato, e non sulla base di una semplice promessa di impiego.

La decisione riguarda il ricorso di una cittadina straniera contro il diniego della Prefettura di Roma, che aveva respinto la sua domanda di regolarizzazione presentata ai sensi dell’art. 103 del Decreto Rilancio (D.L. 34/2020). La Prefettura aveva ritenuto inesistente il rapporto di lavoro dichiarato, in quanto mai formalizzato né comunicato agli enti competenti.

La ricorrente sosteneva di aver lavorato come collaboratrice domestica e di aver versato i contributi previdenziali tramite un sindacato di categoria. Tuttavia, il TAR ha sottolineato che il pagamento dei contributi non è sufficiente a provare l’effettiva instaurazione di un rapporto di lavoro, in mancanza di elementi formali come la comunicazione obbligatoria al Ministero del Lavoro o all’INAIL e la sottoscrizione del contratto di soggiorno.

Richiamando precedenti del Consiglio di Stato (sent. n. 6979/2021) e dello stesso TAR Lazio (sent. n. 7458/2021), il Collegio ha chiarito che la “attesa occupazione” è un istituto giuridico che presuppone la perdita di un lavoro realmente esistente, non una mera promessa di assunzione. In altri termini, il permesso di soggiorno per attesa occupazione può essere rilasciato solo a chi ha perso un lavoro regolare, non a chi non lo ha mai iniziato.

La sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale restrittivo verso le sanatorie fondate su rapporti di lavoro irregolari o solo annunciati. La procedura di emersione, precisa il TAR, non può essere usata per ottenere un titolo di soggiorno in assenza dei requisiti sostanziali previsti dalla legge.

In conclusione, il Tribunale ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


In sintesi, per accedere al permesso di soggiorno per attesa occupazione occorre dimostrare un rapporto lavorativo effettivamente instaurato e cessato, come previsto dall’art. 22 del Testo Unico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/1998). La semplice promessa di un impiego, anche se documentata, non basta a fondare il diritto al soggiorno.


Avv. Fabio Loscerbo

domenica 2 novembre 2025

Come richiedere la cancellazione di una segnalazione nel Sistema Schengen (SIS)

 

Come richiedere la cancellazione di una segnalazione nel Sistema Schengen (SIS)

di Avv. Fabio Loscerbo

Essere segnalati nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS) può avere conseguenze concrete e spesso pesanti: dal rifiuto di un visto al divieto d’ingresso o di soggiorno in uno Stato dell’area Schengen. Ma pochi sanno che è possibile verificare l’esistenza dei propri dati e chiederne la cancellazione.

Il SIS è una banca dati comune a tutti i Paesi Schengen, gestita dall’Agenzia eu-LISA e utilizzata da autorità di polizia, dogane e frontiere. Le segnalazioni possono riguardare diversi motivi: ingresso irregolare, espulsioni, divieti di ritorno, mandati di arresto europei o persone scomparse.

Come sapere se si è segnalati

Chi teme di essere inserito nel SIS può esercitare il diritto di accesso ai propri dati.
In Italia, la richiesta va presentata al Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, compilando il modulo disponibile sul sito della Polizia di Stato nella sezione “Come fare per sapere se nella banca dati Schengen esistono dati personali che ci riguardano”.
È necessario allegare un documento d’identità e indicare con precisione i propri dati anagrafici.
La risposta, in genere, arriva entro 30 giorni.

La richiesta di cancellazione

Se l’interessato scopre di essere segnalato, può chiedere la rettifica o la cancellazione dei dati.
La domanda deve essere motivata e presentata allo stesso Ministero dell’Interno, che valuta se la segnalazione sia ancora legittima o debba essere rimossa.
In caso di rigetto, è possibile proporre ricorso al Garante per la protezione dei dati personali oppure al giudice amministrativo (TAR).
Per segnalazioni inserite da altri Stati Schengen, la richiesta va inoltrata direttamente alle autorità competenti di quello Stato, spesso tramite ambasciata o consolato.

Un diritto europeo alla trasparenza

Il diritto di accedere, correggere o cancellare i propri dati nel SIS deriva direttamente dal Regolamento (UE) 2018/1862, che disciplina l’uso del sistema a fini di cooperazione di polizia e giudiziaria.
È un diritto fondamentale, collegato alla tutela della privacy e della libertà di circolazione.
Molte persone, come raccontato da Melting Pot Europa, riescono a ottenere la cancellazione quando la segnalazione è datata, ingiustificata o conseguente a errori procedurali.

Conclusione

Conoscere e far valere i propri diritti nel contesto del SIS è essenziale.
La segnalazione non è una condanna, ma un’informazione amministrativa che può e deve essere verificata.
Per questo è importante rivolgersi a un legale esperto in diritto dell’immigrazione e dell’Unione Europea, in grado di valutare ogni caso e agire nelle sedi opportune.

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