domenica 25 maggio 2025

SIS: la protezione è possibile, la conversione no 🎙️ Titolo: "SIS: la protezione è possibile, la conversione no" 🎧 Testo parlato: Benvenuti a Diritto dell’Immigrazione. Oggi parliamo della sentenza n. 9087/2025 del TAR Lazio, che chiarisce un punto decisivo: la segnalazione nel sistema Schengen SIS II non impedisce il rilascio di un permesso per protezione, ma blocca la possibilità di convertirlo in un titolo per lavoro, studio o famiglia. Nel caso esaminato, un cittadino straniero voleva convertire un permesso umanitario in permesso per lavoro. La Questura ha rigettato la richiesta, richiamando una segnalazione inserita dalla Svizzera. Il TAR ha confermato il diniego: la segnalazione SIS è vincolante, e la conversione è preclusa, salvo che venga revocata o superata per motivi costituzionali o umanitari. Il messaggio è chiaro: La protezione si può ottenere anche con una segnalazione attiva, ma per convertire in lavoro serve una posizione pulita nel SIS. Controllare sempre la banca dati SIS prima di presentare domanda. Alla prossima puntata di Diritto dell’Immigrazione. https://www.youtube.com/watch?v=OOxdQxKmZYM


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Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

 

Segnalazione SIS e limiti alla conversione del permesso: la protezione resta possibile, il lavoro no – Nota a TAR Lazio, Sez. I Ter, sent. n. 9087/2025, RG n. 1274/2022, del 12 maggio 2025

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

Con la sentenza n. 9087/2025 del 12 maggio 2025, il TAR Lazio (Sezione Prima Ter) affronta un punto centrale in materia di soggiorno degli stranieri: gli effetti delle segnalazioni nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS II) nei procedimenti di conversione del permesso di soggiorno.

Il Collegio chiarisce che la presenza di una segnalazione di inammissibilità nello spazio Schengen non osta al rilascio o rinnovo di permessi di soggiorno di natura protettiva, ma costituisce invece un impedimento assoluto alla conversione in titoli per motivi lavorativi o comunque privi di contenuto “protettivo”, salvo rare eccezioni. Il caso concreto riguardava il diniego alla conversione di un permesso umanitario in permesso per motivi di lavoro subordinato.


2. Il caso

Il ricorrente, titolare di un precedente permesso per motivi umanitari, aveva richiesto la conversione in permesso per lavoro subordinato. La Questura di Roma rigettava l’istanza, richiamando una segnalazione inserita dalla Svizzera nel SIS II, qualificante il soggetto come non ammissibile nello spazio Schengen.

Il ricorso avverso tale provvedimento faceva leva sulla carenza di motivazione, sul mancato contraddittorio ex art. 10-bis L. 241/1990, sull’assenza di istruttoria e sul fatto che il diniego non aveva tenuto conto del percorso di integrazione lavorativa in Italia.


3. La decisione del TAR

Il TAR ha respinto il ricorso, evidenziando che:

  • La comunicazione ex art. 10-bis L. 241/1990 era stata effettuata e le osservazioni del ricorrente non avevano apportato elementi utili a superare la segnalazione;

  • La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la segnalazione per inammissibilità nel SIS II non preclude il rilascio di un permesso per protezione internazionale, sussidiaria, speciale o per motivi umanitari, ma esclude la possibilità di concedere o convertire un titolo per motivi ordinari (lavoro, studio, famiglia ecc.), in quanto incompatibile con lo status di persona non gradita nello spazio Schengen;

  • L’onere di dimostrare l’infondatezza o la cessazione della segnalazione grava sullo straniero. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a dichiarare che il transito in Svizzera non era stato problematico, senza alcuna prova documentale o richiesta di revoca alle autorità elvetiche;

  • La posizione dell’Amministrazione italiana è vincolata dalla segnalazione straniera, salvo che intervenga una revoca formale o una deroga fondata su obblighi costituzionali o internazionali (es. protezione umanitaria o protezione contro l’espulsione verso Paesi a rischio).


4. Riflessioni conclusive

La sentenza in esame consente di distinguere nettamente tra il diritto alla protezione e la discrezionalità nei titoli “ordinari” di soggiorno: la presenza di una segnalazione nel SIS II non può ostacolare la concessione di una protezione, in quanto diritto soggettivo legato a vulnerabilità o obblighi convenzionali, ma rende invece giuridicamente impossibile la conversione in titoli privi di finalità protettiva, come ad esempio il permesso per lavoro subordinato.

L’impostazione del TAR Lazio si inserisce in una giurisprudenza che, pur riconoscendo il valore sovranazionale del sistema SIS, lascia aperto un margine di tutela nei casi in cui il soggiorno dello straniero risponda a obblighi umanitari o costituzionali.

Per gli operatori, si tratta di un precedente che conferma l’importanza di valutare la posizione giuridica del cliente alla luce delle segnalazioni Schengen, distinguendo accuratamente tra permessi a contenuto protettivo, ammissibili anche in presenza di segnalazione, e permessi ordinari, preclusi in via automatica.

Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

 

Permesso di soggiorno per studio e tempestività della conversione: la rilevanza della motivazione amministrativa nella decisione del TAR Lazio (RG n. 4229/2025, sent. n. 9653/2025 del 20.05.2025)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta con rigore il tema della legittimità del diniego di rinnovo di un permesso di soggiorno per motivi di studio e della sua possibile conversione, ponendo l'accento su due profili centrali: da un lato il difetto di motivazione e dall’altro la non ostatività della scadenza del titolo alla conversione, in presenza di tempestiva domanda.

Il TAR Lazio – Sezione Prima Ter – interviene per riaffermare alcuni principi basilari in materia di procedimenti amministrativi incidenti su diritti fondamentali, come il soggiorno legale e continuativo dello straniero regolarmente radicato in Italia.


2. I fatti di causa

Il ricorrente aveva impugnato il provvedimento del Questore di Viterbo e il successivo rigetto del ricorso gerarchico da parte del Prefetto, entrambi volti a negare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di studio, in scadenza al 31 dicembre 2022.

L’amministrazione fondava il diniego su asserita mancanza dei requisiti economici e assicurativi, ritenendo peraltro preclusa la conversione in altro titolo a causa dell’intervenuta scadenza del permesso originario.


3. Le ragioni dell'accoglimento

Il TAR ha accolto il ricorso con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., evidenziando vizi gravi e strutturali nel procedimento amministrativo.

Tra le principali censure accolte:

  1. Difetto di motivazione: i provvedimenti impugnati risultano fondati su affermazioni generiche, stereotipate e prive di specificazione circa l’asserita inidoneità della documentazione prodotta (reddito e copertura sanitaria), senza alcun confronto con l’effettivo contenuto degli atti presentati dal ricorrente;

  2. Mancata considerazione delle circostanze sopravvenute: l’amministrazione non ha tenuto conto né dei tempi di evasione dell’istanza, né dell’evoluzione documentale intervenuta in corso di procedimento;

  3. Incomprensibilità delle motivazioni: l’atto questorile contiene un passaggio (relativo alla “verifica del profilo”) privo di chiarezza, che non consente di comprendere le ragioni effettive del rifiuto;

  4. Illegittimità del diniego di conversione per intervenuta scadenza: il TAR ha ritenuto erronea e infondata l’affermazione secondo cui non sarebbe possibile la conversione del permesso per studio se scaduto. Tale posizione, secondo il Collegio, contrasta con la giurisprudenza consolidata (Consiglio di Stato n. 5604/2023; TAR Emilia-Romagna Bologna n. 69/2025; TAR Emilia-Romagna Parma n. 154/2016), secondo cui la mera scadenza non preclude la possibilità di conversione, specie in caso di rapporto temporale ragionevole tra scadenza e presentazione della nuova istanza.


4. Il dispositivo

In accoglimento del ricorso, il TAR:

  • ha annullato i provvedimenti impugnati;

  • ha salvato la possibilità di nuova valutazione da parte dell’Amministrazione, alla luce delle indicazioni contenute nella motivazione;

  • ha condannato il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di lite, quantificate in € 1.000 oltre accessori.


5. Considerazioni conclusive

La pronuncia del TAR Lazio ribadisce con chiarezza che la funzione amministrativa non può risolversi in formule standardizzate, soprattutto quando si incide sul diritto al soggiorno e sulla possibilità per lo straniero di stabilire un percorso di vita regolare e conforme alla legge.

La scadenza del permesso di soggiorno non è un ostacolo assoluto alla conversione, se la domanda è tempestiva e motivata, e tanto più se l’Amministrazione ha impiegato un tempo irragionevole per concludere il procedimento.

In definitiva, si tratta di una decisione che rafforza l’obbligo per la pubblica amministrazione di istruire, motivare e valutare concretamente le situazioni individuali, secondo criteri di buona fede e proporzionalità.

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

 

Assistenza a minori e soggiorno stabile: la convertibilità del permesso in titolo UE per lungo soggiornanti – Nota a TAR Campania, Sez. VI, sent. n. 766/2020 (RG n. 326/2020, pubbl. 17/02/2020)

Avv. Fabio Loscerbo – Avvocato in diritto dell’immigrazione


1. Introduzione

La sentenza in oggetto affronta un tema di crescente rilevanza nella prassi amministrativa e giurisprudenziale: la possibilità di convertire un permesso di soggiorno per assistenza a minori in permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, alla luce del consolidamento del radicamento e del contributo economico del nucleo familiare.

Il TAR Campania – Sezione Sesta – si esprime su un decreto prefettizio che aveva negato la richiesta per presunta carenza reddituale, senza però svolgere una valutazione completa della condizione familiare e delle fonti di sostentamento disponibili nel nucleo convivente.


2. Il contesto fattuale

La ricorrente era titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari connessi all’assistenza a minori. Successivamente, aveva presentato istanza di rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 del T.U.I., istanza che veniva rigettata con riferimento a un presunto deficit reddituale per l’anno di riferimento.

Nel ricorso, si contestava l’omessa valutazione:

  • del reddito della madre convivente, elemento che – se considerato – avrebbe potuto colmare la soglia minima prevista dalla normativa;

  • delle circostanze sopravvenute, che avrebbero dovuto essere considerate in virtù dell’art. 5, comma 5, D.lgs. 286/1998.


3. Le valutazioni del TAR

Il Tribunale, con sentenza semplificata ex art. 60 c.p.a., ha accolto il ricorso, evidenziando carenza di motivazione e istruttoria.

Il giudizio di insufficienza reddituale, infatti:

  • non ha considerato la coabitazione con un familiare convivente titolare di reddito, potenzialmente valutabile ai fini del raggiungimento della soglia reddituale;

  • non ha tenuto conto degli sviluppi procedurali e delle condizioni economiche sopravvenute, come richiesto espressamente dalla legge.

Il TAR ha dunque annullato il decreto prefettizio, riservando all’amministrazione la facoltà di procedere a nuova valutazione nel rispetto delle indicazioni giurisprudenziali.


4. Rilievi giuridici

Il principio affermato nella decisione è chiaro: la presenza di un figlio minore assistito e la stabilità familiare possono costituire elementi di continuità e integrazione, rilevanti anche nella transizione da un titolo di soggiorno temporaneo o umanitario a un permesso di lungo periodo.

Inoltre, la sentenza ribadisce che il reddito familiare complessivo, anche se non prodotto personalmente dalla richiedente, deve essere valutato in ottica funzionale, in presenza di convivenza e corresponsabilità economica.


5. Conclusioni

La sentenza n. 766/2020 del TAR Campania rafforza un orientamento ormai consolidato: il diritto al soggiorno di lungo periodo deve essere interpretato in chiave evolutiva e costituzionalmente orientata, valorizzando il radicamento, l’assistenza familiare e il contributo complessivo del nucleo domestico.

La mancata valutazione del reddito della convivente, unita all’inerzia istruttoria sulle circostanze sopravvenute, integra un vizio sostanziale di illegittimità, che comporta l’annullamento dell’atto.


La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

 

La mancata fissazione dell’appuntamento consolare quale lesione del diritto all’unità familiare: un'analisi della sentenza del Tribunale di Roma (RG n. 54653/2024, sent. 27 febbraio 2025)

di Avv. Fabio Loscerbo

1. Premessa

La sentenza in commento affronta un nodo cruciale nella prassi delle rappresentanze diplomatico-consolari italiane in materia di rilascio del visto per ricongiungimento familiare: la mancata fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda, nonostante la presenza di un nulla osta già rilasciato e in corso di validità. Il Tribunale, pur non riconoscendo il diritto immediato al rilascio del visto, accoglie parzialmente il ricorso ordinando la fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della domanda e la legalizzazione dei documenti, riaffermando la rilevanza dell’unità familiare nel sistema di tutela giurisdizionale.

2. Il contesto fattuale e processuale

Il ricorrente aveva ottenuto nel 2024 un nulla osta per ricongiungimento familiare in favore della moglie, cittadina del Benin ma residente in Ghana. Nonostante la tempestiva attivazione per prenotare l’appuntamento presso l’Ambasciata d’Italia ad Accra, ogni tentativo era risultato vano. La domanda di visto, benché formalmente cristallizzata, non aveva trovato seguito operativo. Dopo l’inoltro di una diffida e il successivo silenzio dell’Amministrazione, il ricorrente ha adito il Tribunale, formulando sia domanda cautelare che di merito.

Il punto critico si è incentrato sulla condotta dell’ambasciata, la quale, in sede di legalizzazione dei documenti, aveva eccepito un supposto difetto di competenza territoriale per via della cittadinanza beninese della richiedente, nonostante la stabile residenza in Ghana.

3. La decisione del Tribunale

Il Tribunale respinge sia la domanda cautelare sia la domanda principale di rilascio del visto. Viene infatti esclusa la sussistenza del periculum in mora, rilevando l’assenza di elementi personalizzati tali da differenziare la situazione del ricorrente rispetto a quella di altri soggetti in analoga posizione.

Tuttavia, la domanda relativa alla fissazione dell’appuntamento per la formalizzazione della richiesta e la legalizzazione dei documenti viene accolta. Il Tribunale riconosce la validità e la tempestività della richiesta di visto, sottolineando come la residenza effettiva della richiedente in Ghana – e non la cittadinanza – determini la competenza dell’Ambasciata ad Accra. È questo un punto dirimente, che corregge una prassi consolare arbitraria, priva di base normativa.

4. La portata giuridica della pronuncia

La pronuncia chiarisce due aspetti fondamentali:

  • La cristallizzazione della domanda di visto per ricongiungimento avviene con la richiesta tempestiva e documentata dell’interessato, anche in assenza di un appuntamento fissato;

  • Il luogo di residenza effettiva del familiare all’estero è il criterio determinante per la competenza territoriale della rappresentanza consolare, e non la cittadinanza del soggetto.

Si tratta di principi che, sebbene già presenti nel sistema normativo, faticano a trovare coerente applicazione nella prassi amministrativa. Il giudice chiarisce che la funzione consolare non può sottrarsi all’obbligo di dare seguito alla domanda di visto avanzata nei termini, non potendo fondare eccezioni su criteri non normativi.

5. Conclusioni

La sentenza RG n. 54653/2024 del Tribunale di Roma costituisce un precedente significativo per tutti i casi in cui la condotta omissiva delle rappresentanze consolari italiane impedisce di fatto l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Sebbene il giudice non si sia spinto sino a ordinare il rilascio del visto (ritenendo non ancora compiuta la fase istruttoria amministrativa), ha tuttavia riconosciuto il diritto del richiedente alla fissazione di un appuntamento, primo atto necessario per l’avvio del procedimento amministrativo.

La pronuncia, quindi, si pone come uno strumento di tutela giurisdizionale efficace contro l’inerzia consolare, che rischia troppo spesso di tradursi in una lesione sistemica dei diritti fondamentali, primo fra tutti quello all’unità familiare sancito dagli artt. 29 e ss. del T.U. Immigrazione e dall’art. 8 CEDU.


domenica 18 maggio 2025

Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 🎧 TITOLO: Ricongiungimento familiare: procedimento unitario, non spezzabile 📎 Ordinanza Tribunale di Roma, R.G. n. 611/2025 – 7 aprile 2025 🎙️ CONTENUTO EPISODIO: Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 aprile 2025, ha ribadito un principio fondamentale in tema di ricongiungimento familiare: il procedimento – articolato tra nulla osta rilasciato dallo Sportello Unico e visto consolare rilasciato dal Consolato – è unitario e progressivo. Questo significa che non può essere interrotto o spezzato arbitrariamente, soprattutto quando il nulla osta è già stato concesso e la documentazione è completa. Nel caso esaminato, riguardante figli minori, il giudice ha disposto il rilascio del visto provvisorio, riconoscendo il rischio di danno irreparabile legato alla lontananza familiare. 🎤 A cura dell’Avv. Fabio Loscerbo https://www.youtube.com/watch?v=rQt_wOWqzqE


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Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

 

Il diritto al ricongiungimento familiare tra unità del procedimento e centralità del minore

Nota a ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione Immigrazione, 7 aprile 2025, R.G. n. 611/2025

Nel contesto delle numerose problematiche giuridiche legate al ricongiungimento familiare con cittadini stranieri residenti in Italia, l’ordinanza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2025 (R.G. n. 611/2025) offre un’importante conferma circa il valore del diritto all’unità familiare e l’impostazione interpretativa che assume come parametro centrale l’interesse del minore.

La vicenda oggetto del provvedimento cautelare riguarda il diniego, da parte del Consolato italiano in Nigeria, dei visti per ricongiungimento familiare in favore di tre minori, nonostante fosse già intervenuto il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione. La ricorrente aveva attivato tutte le procedure previste, incluse quelle per la verifica del DNA tramite l’IOM e la legalizzazione degli atti di nascita e dell’atto di morte del padre dei minori. Il rigetto amministrativo, comunicato mentre le istruttorie risultavano ancora formalmente aperte, ha condotto all’avvio del ricorso ex art. 700 c.p.c.

Il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare, richiamando un orientamento consolidato della Cassazione secondo cui il procedimento di ricongiungimento è unitario e progressivo, articolato in una fase interna (rilascio del nulla osta) e una esterna (rilascio del visto consolare), che devono essere coordinate in modo coerente. La presenza del nulla osta – già favorevole – rende sproporzionato e lesivo il rigetto dei visti in assenza di motivazioni concrete e definitive.

In ordine al fumus boni iuris, il giudice ha ritenuto pienamente sufficiente la documentazione prodotta in giudizio, comprensiva di tutti gli elementi previsti dalla normativa vigente. Con riferimento al periculum in mora, il Tribunale ha ribadito come, in caso di minori, il decorso del tempo costituisca un danno irreparabile, richiamando sia precedenti giurisprudenziali dello stesso foro sia le principali fonti sovranazionali (Convenzione di New York del 1989, Convenzione europea sui diritti del fanciullo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

L’ordinanza dispone quindi il rilascio immediato, seppur provvisorio, dei visti di ingresso, riaffermando implicitamente che l'interesse superiore del minore è un principio prevalente anche nei procedimenti amministrativi relativi all’immigrazione.

L’importanza della pronuncia va ben oltre il caso concreto, poiché ribadisce che l’azione consolare non può divenire un ostacolo alla tutela di un diritto soggettivo fondamentale quale l’unità familiare. Inoltre, essa richiama il dovere delle autorità amministrative di garantire coerenza tra le diverse fasi procedimentali e rispetto sostanziale della volontà normativa.

In conclusione, si tratta di un intervento giudiziario che contribuisce a colmare il frequente scollamento tra i principi dell’ordinamento e le prassi amministrative, rafforzando il ruolo della giurisdizione civile nella tutela dei diritti fondamentali delle persone straniere, in particolare quando vi siano minori coinvolti.


✍️ Avv. Fabio Loscerbo

Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025

 Rigetto della Sospensiva in Materia di Conversione del Permesso di Soggiorno: Ordinanza TAR Emilia-Romagna, R.G. 492/2025 del 14 maggio 2025


Abstract:
Con l’ordinanza n. 492/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna ha rigettato l’istanza cautelare proposta da un cittadino straniero avverso il provvedimento di revoca del nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno da stagionale a subordinato. Nonostante la difesa avesse dedotto l’esistenza di fatti sopravvenuti e straordinari (in primis, gli eventi alluvionali del 2023 in Emilia-Romagna), il Collegio ha ritenuto prevalente la valutazione negativa sulla capacità reddituale del datore di lavoro.


1. Premessa
Il procedimento nasce dall'impugnazione, da parte del lavoratore straniero, di un provvedimento della Prefettura di Bologna con cui veniva revocato il nulla osta alla conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in subordinato, motivato dalla presunta insufficienza reddituale dell’impresa agricola datrice di lavoro.

L’istanza cautelare ex art. 55 c.p.a. mirava a ottenere la sospensione del provvedimento, evidenziando da un lato la fondatezza giuridica del ricorso (fumus boni iuris) e dall’altro l’urgenza e l’irreparabilità del pregiudizio (periculum in mora).


2. Il contesto fattuale e normativo
Nel caso di specie, la revoca del nulla osta è fondata sulla mancata dimostrazione del requisito reddituale minimo, pari a 30.000 euro annui, previsto dal combinato disposto dell’art. 30-bis, comma 8, del D.P.R. 394/1999 e del D.M. 27 maggio 2020.

La difesa ha contestato la rigidità di tale valutazione, rappresentando che la difficoltà economica era frutto di eventi alluvionali che avevano colpito l’azienda agricola del datore di lavoro, compromettendone temporaneamente la produttività. A corredo veniva depositata anche una relazione geologica a firma di tecnico abilitato, attestante i danni subiti.


3. Le argomentazioni dell’Amministrazione e l’ordinanza del TAR
La Prefettura, nonostante la memoria difensiva ex art. 10-bis L. 241/1990, ha confermato la revoca del nulla osta, ritenendo non superata l'insufficienza reddituale del datore di lavoro.

Il TAR ha condiviso tale impostazione, osservando che l’insussistenza del requisito reddituale non era stata sostanzialmente contestata nella sua esistenza oggettiva, e che i fattori dedotti a giustificazione (ripresa dell’attività e eventi meteorici) non erano idonei a invalidare tale carenza.

Di conseguenza, ha respinto la richiesta di sospensione cautelare, compensando le spese della fase cautelare per la particolarità della vicenda.


4. Riflessioni critiche
L’ordinanza merita un commento critico sotto il profilo della tenuta sistemica dell’impianto normativo in tema di immigrazione e lavoro. Il rigetto della sospensiva appare in controtendenza rispetto a un orientamento giurisprudenziale consolidato (v. TAR Emilia-Romagna, ord. n. 408/2023; TAR Lecce, ord. n. 83/2025), secondo cui non è conforme al principio di proporzionalità penalizzare il lavoratore per carenze imputabili al datore di lavoro, soprattutto se temporanee e derivanti da cause di forza maggiore.

Non va dimenticato che l'art. 22 T.U. Immigrazione consente la revoca del nulla osta in caso di successiva perdita dei requisiti, il che implica anche la possibilità di concederlo in via provvisoria quando l'attività sia effettivamente in corso, come nel caso di specie.

Inoltre, la non valutazione dell’intera documentazione difensiva, che includeva dati economici aggiornati e patrimonio immobiliare del datore di lavoro, potrebbe configurare un vizio di motivazione e difetto di istruttoria in sede di giudizio di merito.


5. Conclusioni
Il caso solleva importanti interrogativi sul ruolo del giudice amministrativo nella tutela del lavoratore straniero integrato, in presenza di rigidità amministrative che non tengono conto della realtà economica dinamica né delle contingenze straordinarie. La decisione cautelare non esaurisce il merito del giudizio, che potrà ancora ribaltare l’esito, ma lancia un monito sul rischio che l’approccio meramente formale possa minare la funzione costituzionale dell’integrazione lavorativa come strumento di coesione sociale.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025

 Il diritto al ritiro temporaneo del passaporto durante la procedura di asilo: nota a Tribunale di Bologna, ordinanza n. R.G. 1222/2025 del 7 marzo 2025


Abstract:
Con l’ordinanza del 7 marzo 2025, il Tribunale di Bologna ha disposto la restituzione temporanea del passaporto a un richiedente protezione internazionale, pur in pendenza della procedura, al fine di consentirgli operazioni bancarie e il rinnovo del documento presso le autorità consolari. La decisione chiarisce il bilanciamento tra l’obbligo di consegna del passaporto ex art. 11 del D.lgs. 25/2008 e il diritto del richiedente ad avere accesso a strumenti essenziali di identificazione per esigenze concrete e documentate.


1. Introduzione
Il caso deciso dal Tribunale di Bologna concerne un aspetto operativo e delicato della procedura di protezione internazionale: la possibilità per il richiedente di rientrare temporaneamente in possesso del proprio passaporto, già consegnato alla Questura, in pendenza della domanda di asilo.


2. Il contesto normativo: art. 11 D.lgs. 25/2008
L’articolo 11, comma 1 del D.lgs. 25/2008 stabilisce l’obbligo per il richiedente asilo di consegnare il passaporto alle autorità competenti. Tale disposizione è finalizzata a garantire l’identificazione del soggetto e a impedire l’uso di documenti validi per espatriare durante la procedura. Tuttavia, non si configura come un divieto assoluto di utilizzo temporaneo del documento per finalità amministrative o personali non incompatibili con la procedura in corso.


3. Le esigenze del ricorrente
Nel caso in esame, il richiedente aveva documentato la necessità di utilizzare il passaporto — seppure scaduto — per due finalità legittime:

  • Chiudere una carta prepagata presso un istituto bancario che richiedeva un documento d’identità in originale e in corso di validità;

  • Rinnovare il passaporto presso il consolato del Paese d’origine, procedura che presuppone la consegna fisica del documento scaduto.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo di consegna non impedisca l’uso temporaneo del documento qualora esistano esigenze concrete e non abusive. In particolare, ha rilevato che il passaporto è indispensabile per il rinnovo stesso e che, una volta utilizzato per lo scopo dichiarato, il ricorrente ha l’obbligo di riconsegnarlo alla Questura.

La pronuncia sottolinea inoltre che tali necessità rientrano nei limiti del principio di collaborazione e buona fede che governa l’intera procedura di protezione internazionale.


5. Decisione finale e spese
Il Giudice ha accolto l’istanza cautelare e disposto la restituzione del passaporto, precisando che il nuovo documento — una volta ottenuto — dovrà essere riconsegnato alle autorità. Le spese di lite sono state compensate, considerata la particolarità della questione e l’assenza di una resistenza attiva da parte della Pubblica Amministrazione.


6. Conclusioni
Questa ordinanza si colloca all’interno di un orientamento giurisprudenziale volto a garantire un’interpretazione flessibile e proporzionata degli obblighi imposti al richiedente asilo. Essa riafferma che i diritti fondamentali e le esigenze pratiche della vita quotidiana — come l’identificazione presso terzi — devono trovare spazio anche all’interno del procedimento amministrativo di protezione, purché nel rispetto della legalità.


Avv. Fabio Loscerbo

La protezione speciale come tutela della vita privata radicata: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 7780/2024 del 23 aprile 2025

 La protezione speciale come tutela della vita privata radicata: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 7780/2024 del 23 aprile 2025


Abstract:
Con la sentenza del 23 aprile 2025, il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso proposto da un cittadino albanese, riconoscendo il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale. Il provvedimento valorizza il radicamento sociale e lavorativo raggiunto in Italia, con specifico riferimento al concetto di "vita privata" tutelato dall'art. 8 CEDU. La decisione si inserisce nel solco della giurisprudenza di merito e di legittimità che ha delineato la portata della protezione complementare nel quadro post-riforma del D.L. 130/2020 e alla luce della clausola di salvaguardia del D.L. 20/2023.


1. Introduzione
Il caso sottoposto al Tribunale di Bologna concerne un diniego di protezione speciale opposto dalla Questura di Parma il 23 maggio 2024. Il ricorso, fondato sulla previsione dell’art. 19, comma 1.1 del D.lgs. 286/98 nella formulazione introdotta dal D.L. 130/2020, è stato accolto in pieno, con riconoscimento del diritto del ricorrente al permesso di soggiorno per protezione speciale di durata biennale, convertibile e rinnovabile.


2. Il quadro normativo e la disciplina transitoria
Il Tribunale conferma l’applicabilità della disciplina previgente alla data di entrata in vigore del D.L. 20/2023, ai sensi della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 7, comma 2 dello stesso decreto. Pertanto, trova applicazione l’art. 19, comma 1.1 T.U.I. nella versione post D.L. 130/2020, che vieta il respingimento e l’espulsione in presenza di un fondato rischio di violazione della vita privata e familiare.


3. La ricostruzione giurisprudenziale della protezione per “vita privata”
La sentenza richiama ampiamente l’elaborazione della Cassazione e della Corte EDU, sottolineando che la protezione speciale è un’evoluzione della precedente protezione umanitaria, ampliata e specificata. In particolare, si sottolinea come la “vita privata” non si esaurisca nel lavoro, ma comprenda relazioni affettive, abitative, sociali e culturali, secondo una lettura ampia dell’art. 8 CEDU.


4. L’accertamento del radicamento sociale e lavorativo
Il ricorrente è risultato regolarmente soggiornante da quasi quattro anni, ospitato da un connazionale in un alloggio regolare e titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato nel settore delle pulizie, con un reddito mensile di circa 1.000 euro. La documentazione INPS ha evidenziato una progressiva stabilizzazione economica. Non sussistono precedenti penali né elementi di pericolosità sociale.


5. Il bilanciamento dei diritti e il principio di proporzionalità
Il Tribunale richiama la sentenza n. 24413/2021 delle Sezioni Unite della Cassazione per sottolineare l’obbligo di verificare se l’allontanamento possa produrre una “grave deprivazione della vita privata e familiare”. Una volta accertato il radicamento e l’assenza di motivi di sicurezza pubblica, il permesso deve essere rilasciato come diritto soggettivo.


6. Conclusioni
Questa decisione si conferma come espressione coerente del principio di proporzionalità e della centralità del diritto alla vita privata. Essa riafferma che, anche in assenza di legami familiari stretti, un percorso di integrazione sociale e lavorativa concreto costituisce condizione sufficiente per impedire l’espulsione, in attuazione degli obblighi internazionali dell’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

 Il diritto alla protezione speciale fondato sulla vita familiare: nota a Tribunale di Bologna, sentenza n. R.G. 8636/2023 del 16 aprile 2025

Abstract:
Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto alla protezione speciale ex art. 19, comma 1.1, del Testo Unico Immigrazione, in applicazione della disciplina previgente al D.L. 20/2023, valorizzando il radicamento familiare e sociale della ricorrente, cittadina straniera madre e moglie convivente, priva di attività lavorativa ma inserita in un contesto familiare stabile e regolare. La sentenza si inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza nazionale e della Corte EDU sul bilanciamento tra diritto alla vita privata e familiare e interesse statale all’allontanamento dello straniero.


1. Introduzione
La sentenza del Tribunale di Bologna (R.G. 8636/2023, depositata il 16 aprile 2025) affronta con lucidità il tema della protezione speciale nel quadro dell’art. 19 TUI (Testo Unico Immigrazione), nella formulazione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 20/2023, convertito nella L. 50/2023. La vicenda ruota attorno al rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale opposto da una cittadina straniera, madre di due figli minori e coniugata con un titolare di analogo permesso.


2. Il quadro normativo di riferimento
La disciplina applicabile ratione temporis è quella introdotta dal D.L. 130/2020. Essa prevede, accanto ai casi classici di rischio di tortura o trattamenti inumani, anche la tutela del diritto alla vita privata e familiare dello straniero, mutuata dall’art. 8 CEDU. È proprio su questa seconda ipotesi di protezione che si incentra la pronuncia in commento.


3. Le risultanze istruttorie
Dall’istruttoria emerge una situazione chiara: la ricorrente, pur non lavorando, è stabilmente inserita in Italia da oltre sei anni, si occupa dei figli minori e della gestione familiare, vive in un’abitazione regolare con contratto intestato al marito e partecipa in modo attivo alla vita scolastica dei figli. Il marito è titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e di un permesso di soggiorno per protezione speciale.


4. La motivazione del Tribunale
Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sotto il profilo del rischio di persecuzione o trattamenti inumani, ma ha accolto il ricorso alla luce del diritto al rispetto della vita familiare.

Particolarmente rilevante è il richiamo alla giurisprudenza della Corte EDU, che ha progressivamente ampliato il concetto di “vita familiare”, includendo situazioni di fatto e valutando in concreto la proporzionalità dell’allontanamento rispetto ai legami familiari instaurati. Il Tribunale si richiama espressamente alla sentenza della Cassazione n. 7167/2024, che riconosce il diritto alla protezione speciale anche in assenza di integrazione lavorativa, qualora sussistano concreti legami familiari.


5. Considerazioni sulla valutazione del radicamento
La sentenza sottolinea come la protezione speciale non sia subordinata alla cumulatività dei requisiti di integrazione sociale e lavorativa, ma possa fondarsi su uno solo di essi. In questo caso, il radicamento familiare, comprovato da convivenza, cura dei figli, conoscenza della lingua e stabilità abitativa, risulta decisivo per impedire il rimpatrio.

Il Tribunale ha inoltre chiarito che i legami mantenuti nel Paese d’origine (con genitori e sorella) non assumono rilevanza preclusiva, in assenza di elementi di dipendenza tali da costituire ostacolo all’integrazione familiare in Italia, secondo i parametri tracciati dalla Corte EDU.


6. La disciplina transitoria e gli effetti del permesso
Infine, è stato ribadito che, in forza dell’art. 7, comma 2, del D.L. 20/2023, la domanda della ricorrente – essendo stata proposta in data anteriore all’entrata in vigore del decreto – deve essere esaminata secondo la disciplina previgente. Pertanto, il permesso da rilasciarsi ha durata biennale, è rinnovabile e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.


7. Conclusioni
La decisione si distingue per rigore giuridico e coerenza con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di protezione speciale. Essa riafferma che il diritto al rispetto della vita familiare può costituire autonomamente causa di protezione, anche in assenza di altri indici di vulnerabilità, a condizione che vi sia un radicamento affettivo effettivo e dimostrato.

Si tratta di un principio destinato a incidere profondamente sulle valutazioni amministrative e giudiziali, imponendo un approccio casistico e rispettoso della dimensione relazionale del migrante, in linea con i vincoli internazionali assunti dall’Italia.


Avv. Fabio Loscerbo

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